È veramente sconcertante constatare come gli intellettuali che fanno opinione pubblica nel nostro Paese continuino a rappresentare la realtà in cui siamo immersi talmente infetta da malattie inguaribili da suggerire soltanto una vera e propria fuga dal mondo. Mi ha lasciato esterrefatto un lungo articolo di Umberto Eco che, dopo aver ricordato gli anni della sua giovinezza nella Milano creativa dei cabaret e dei cantautori, descrive una realtà attuale dominata dalla presenza mafiosa totalizzante, in modo così putrescente da indurlo a suggerire come via d’uscita dal rischio della contaminazione e del contagio la fuga da una società irrimediabilmente perduta ad ogni discorso di cambiamento. Secondo Eco non è neppure possibile un’alleanza degli onesti contro i criminali; l’unica via di salvezza è quella, assolutamente personale, di non frequentare più nessuno respingendo tutti gli inviti e tutte le occasioni di incontro.
Sebbene possa essere comprensibile il senso di ripulsa provocato daLla continua scoperta di collusioni mafiose e di vere e proprie bande che usurpano il potere dei cittadini, mi sembra deplorevole che un intellettuale del suo livello, che non ha esitato a far parte dell’establishment, godendo di una tribuna pubblica sempre a sua disposizione, concluda la riflessione sul presente con un invito a sottrarsi ad ogni responsabilità. Più che un atto di disperazione individuale è, a mio parere, una manifestazione di codardia di fronte al nemico. A parte il fatto che la Milano della nostalgia giovanile è esistita solo nella sua fantasia, poiché, a parte l’attuale penetrazione mafiosa, non dovremmo mai dimenticare che Milano è stato il luogo in cui si sono sviluppate le iniziative più perniciose per il Paese: a Milano è nato il fascismo, a Milano è nato il craxismo, a Milano è nato il berlusconismo. Nessuno degli intellettuali che decantano la primazia del Nord è riuscito mai a capire e a spiegare perché nella sofisticata Milano dei grandi circoli culturali siano potute crescere forme di perversione sociale che hanno contribuito non poco al degrado della nostra vita pubblica.
Perché nessuno tra gli opinionisti si è mai chiesto cosa implicasse, per la formazione dell’etica pubblica, il principio introdotto da Berlusconi secondo cui la prostituzione non è più quello strano confine tra trasgressione e desiderio, rappresentato dalla pittura di Toulouse Lautrec e da tanti maestri della letteratura, ma piuttosto un nuovo strumento per ottenere riconoscimenti pubblici e cariche politiche? Si è combattuto Berlusconi con il giustizialismo ma non si è fatta una seria analisi di ciò che le sue pratiche indecenti di uso e abuso della sessualità femminile introducevano sul terreno della convivenza sociale.
Allo stesso modo trovo davvero incomprensibile come Fabio Fazio, che è in grado di decidere il successo o l’insuccesso di un libro, offra in una trasmissione televisiva un enorme spazio a Roberto Saviano per raccontare, come fossero novità, fatti e misfatti già letti su tutti i giornali, per arrivare anche in questo caso alla conclusione che tutti i voti dei cittadini sono appaltati a boss della mafia e della ’ndrangheta che li offrono per denaro ai politici di turno.
Non c’è dubbio che Saviano sia un efficace narratore e che le rappresentazioni della penetrazione criminale nella nostra società civile e politica da lui offerte colgano per molti aspetti un lato drammaticamente oscuro della nostra vita nazionale; ritengo tuttavia che non abbia molto senso costruire trasmissioni televisive sulla reiterazione di denunce già note e senza che alla fine se ne possa trarre una qualche ipotesi per uscire da questa sorta di cerchio maledetto. Non è per nostalgie pedagogiche del ruolo degli intellettuali, ma per un’evidenza banale: un intellettuale è veramente tale se partecipa alla vita del suo Paese, solo se ciò che dice e rappresenta stimola la creazione di nuovo pensiero e la capacità di reazione alla sensazione di impotenza che i cittadini percepiscono in una società di massa.
Vorrei chiedere a Eco, a Saviano e a tutti quelli che fanno le stesse operazioni in vari talk show di intrattenimento, come l’ultima puntata dell’Infedele di Lerner dedicata alla corruzione lombarda, se ritengono in questo modo di aprire la mente dei telespettatori e degli utenti a pensieri e a immaginazione capaci di dare una qualche ragione di speranza nel futuro. Devo dire onestamente che le trasmissioni di mera denuncia e rappresentazione dell’informe ammasso di macerie che ci circonda contribuiscono soltanto ad avvelenare l’anima e, semmai, spingono alla diserzione da ogni forma di impegno, a causa dell’impraticabilità di ogni percorso alternativo a ciò che accade giornalmente. Ci sarebbe a lungo da ragionare sul modo in cui questo sistematico avvelenamento dell’aria che respiriamo alimenta il populismo dell’antipolitica e la facile demagogia di chi propone di sfasciare tutto.
A mio parere, è proprio questo il segno del successo del capitalismo nichilistico di cui in questi anni ha parlato Mauro Magatti. È questo il clima che rende le proposte politiche sempre più inconcludenti e che sembra prefigurare un esito elettorale in cui il non voto e l’astensione diventeranno il dato prevalente. Non vorrei riproporre il problema della ricostituzione di una sfera pubblica in cui rifondare una qualche regola e qualche principio di etica sociale, desidero però sottolineare che questo genere di atteggiamenti negativi e distruttivi sono i migliori alleati di quei famosi poteri forti che continuano ad espropriare i popoli delle proprie capacità di scelte democratiche. Solo raramente mi capita di ascoltare qualche intervento in cui, per cercare di capire questo degrado e questa fine ingloriosa della politica, si prova a mettere sotto accusa l’effetto criminogeno della finanziarizzazione della vita umana e dell’illecito generalizzato, perpetrato dai grandi gruppi finanziari nei confronti dei consumatori e dei risparmiatori.
Soltanto lo scorso anno fa, in questo stesso Paese sciagurato, si è vista una grande mobilitazione popolare che è riuscita, scavalcando le oligarchie dei partiti, a fare eleggere sindaci, a Milano come a Napoli, espressione nei fatti di una nuova volontà di partecipazione specialmente dei giovani, tanto da fare sperare che fosse iniziata una fase di svolta della nostra vita pubblica. Se si riflette su questo passato così recente ci si accorge che la situazione non è così statica o destinata ad una stagnazione in cui il potere è nelle mani dei farabutti, ma esprime tendenze trasformative capaci di opporre resistenza alla mercificazione di ogni aspetto della politica e della vita umana. Sembrava essere tornata in campo la passione per il fare insieme, per costruire progetti e percorsi alternativi, quella passione che la diffusione del virus del pessimismo totale spegne inevitabilmente sul nascere.
Per questo penso che si debba andare comunque a votare, per protestare contro gli istigatori alla fuga da ogni impegno. Penso che la prima questione morale del Paese sia mettere sotto accusa una generazione di intellettuali che, nonostante i successi e i privilegi, ha mantenuto un atteggiamento di puzza al naso per ogni forma di impegno sociale che evocasse anche i vecchi temi della lotta di classe, come scrive Luciano Gallino. Non la lotta del lavoro contro il capitale del vecchio capitalismo industriale, ma la rivolta della maggior parte degli esseri umani che continuano a sentirsi liberi da ogni ricatto moralistico e che hanno voglia di combattere contro l’arroganza e la rapacità dei grandi poteri che oltrepassano le frontiere nazionali. Qualcuno dovrebbe pure ricordare che la Goldman Sachs, che continua ad avere un ruolo preminente nella gestione della finanza mondiale, non è stata mai un’associazione di suore caritatevoli ma purtroppo il luogo in cui un gruppo di scellerati ha cercato di scaricare tutti i propri problemi sulle nuove generazioni senza potere e senza voce.
Voglio capire come Umberto Eco e Roberto Saviano possono suggerire ai giovanissimi del nostro Paese e dell’Europa come non essere condannati da una politica economica che almeno da dieci anni nega il loro diritto di esistere. Più che sulle denunce del malaffare, che certamente inquina la nostra vita, voglio sentire cosa dicono i candidati alla leadership del Paese rispetto al problema del lavoro e della delinquenza finanziaria. Anche in questo caso è estremamente grave vedere più che processi di aggregazione, in cui magari si rinuncia alla propria esibizione personale, agitatori che riscuotono successo soltanto con messaggi di “rottamazione”. Se questa prassi inedita di fare campagna elettorale solo per la leadership dovesse continuare nei termini attuali, senza avere discriminanti programmatiche e senza messaggi mobilitanti, ci troveremmo di fronte all’abdicazione ad assumersi la responsabilità del proprio destino. Mi auguro che in Sicilia come in Italia ci siano presto delle proposte di merito capaci di offrire ragioni a chi continua a credere che la democrazia sarà pure un pessimo sistema di governo, ma resta il migliore di tutti gli altri possibili.