In una lunghissima intervista a Robinson-Repubblica, Franco Branciaroli racconta i suoi 70 anni di vita, tra carriera in teatro, amicizie e grandi sofferenze per la malattia della moglie, con la fede che spesso fa “capolino” tra le varie esperienze vissute. Un teatro in cui la genialità va “bandita” – «L’ attore è uno strumento, la sua volontà è assolutamente marginale. L’apprendistato artistico finisce quando si rinuncia alla genialità. La genialità è un ostacolo, un vero fraintendimento che nasce dalla convinzione di possedere qualcosa di unico. Cos’ è la creatività senza un testo che la sostenga? Nulla» – e dove la lingua italiana è più misteriosa di quanto si pensi, «L’ italiano è una lingua per mentitori, per avvocati o per innamorati che non hanno paura di coprirsi di ridicolo.
Il nostro massimo fulgore fu con la librettistica ottocentesca». Uno strano personaggio, che tra i tantissimi ruoli recitati ha dimostrato di valere l’eccellenza dell’attorialità italiana, sempre disponibile alla novità e alle aperture anche da rapporti “meno” normali o consueti. Proprio come Tinto Brass: «Ho accettato perché è un uomo intelligente e spiritoso che dissacra una materia infiammabile come il sesso. Mi considerava una specie di porta fortuna. Se c’ero io sul set il film andava bene».
Branciaroli poi tocca l’argomento Giovanni Testori e non riesce a non parlare delle fibre più intime di quel rapporto che gli ha cambiato la vita: «Ha scritto sei opere per me. Gliene sono immensamente grato. Come può esserlo un figlio». Dal grande autore e poeta, Branciaroli ricorda nitidamente il messaggio e l’educativo insegnamento sul ruolo del teatro: «Lui diceva che il teatro era stato soppiantato dal cinema e che dunque restava un varco strettissimo. Passare da quella fessura senza essere ridicoli voleva dire per lui rappresentare l’ urlo della carne. Se il verbo si è fatto carne, diceva, l’ attore deve fare della carne il verbo». È qui, sempre nel corso della lunga intervista su Robinson, che il grande attore 70enne racconta l’incontro con Don Luigi Giussani e Testori stesso: «lui non sbandierava la sua omosessualità, era un cattolico ma è una favola l’appartenenza a Comunione e liberazione. Fu però grande amico di Don Giussani e il suo tormento era soprattutto nella maniera di scrivere», racconta Branciaroli.
Si sente figlio di Testori e di quel rapporto con Giussani, come ha raccontato anche alla rivista di Cl, Tracce: «Nella vita, se va bene, di grandi persone se ne incontra una. Io ho avuto la fortuna di vivere una decina di anni in compagnia di due: Giovanni Testori e don Luigi Giussani. Anni bellissimi». Di quel prete fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione, l’attore un po’ maledetto da tutti all’epoca perché aveva partecipato ai film di Tinto Brass, non era rimasto affascinato dalla teologia o profonda intelligenza, «Quello che mi attraeva non era il fascino del grande teologo, ma dell’uomo di fede che ti fa percepire come la fede può risolvere gli ingarbugliamenti della tua esistenza. Che cerchi di spiegare agganciandoti a filosofi e sociologi, come ogni disgraziato che cerca di capire Dio.
Mentre lui li risolveva come li avrebbe risolti mia nonna, donna di fede, ma con in più un’intelligenza portentosa». Una fede difficile, stravolta e “convertita” però da un altro rapporto, quello forse più fondativo perché più intimo, con la moglie Annamaria. «Ho una moglie straordinaria, affetta da sclerosi multipla, è una donna piena di umorismo, molto più allegra di me. Un’allegria senza disperazione, venata da una certa ingenuità. Mi sembra certe volte una bimba. E questo rende più trasparente il legame», racconta Branciaroli a Repubblica.
Una fede che diventa fedeltà, confessa ancora l’attore, e una esperienza imparata completamente dalla moglie che le ha insegnato di non poter eludere il rapporto con gli altri. «Cerco di dissimulare la mia fede, non perché ne abbia vergogna ma perché penso che sia la fede a vergognarsi di me. Preferisco la parola fedeltà. In un mondo dove è facile tradire, essere fedeli a una persona dà un senso di pacata saldezza».
Quel rapporto, come quello con Testori e Don Giussani, ha stravolto la vita di questo noto ma poco “prevedibile” attore teatrale: come dice lo stesso Branciaroli, «solo ciò che pensiamo di perdere ci appartiene veramente. Quando mia moglie non si accorge, la guardo nella sua postura, quasi fosse una bambina in un passeggino, e avverto questa tenerezza. Lei allora ride e io le faccio il verso».