Da un’indagine dell’OCSE risulta che gli insegnanti rispondono positivamente alla valutazione e al feedback. In questa prospettiva si inserisce il decreto Brunetta, che prevede che il personale delle Pubbliche Amministrazioni (quindi anche delle scuole) sia diviso in base ai livelli di performance in tre fasce: la fascia di merito alta, in cui è collocato il 25 per cento del personale, la fascia di merito intermedia, nella quale è collocato il 50 per cento del personale, e la fascia di merito bassa, per il restante 25 per cento. Anche se l’attuazione di questo decreto appare ancora non imminente, soprattutto nelle amministrazioni scolastiche, appare inevitabile che il dirigente contribuisca alla valutazione del personale, come già avviene in una scuola di Legnano.
Una recente indagine finanziata dall’OCSE, denominata TALIS (Teaching And Learning International Survey) di cui l’Associazione Treelle ha pubblicato una sintesi nel suo Seminario n.11 del giugno 2009, ha mostrato risultati sorprendenti relativamente alla predisposizione degli insegnanti ad essere valutati. Risulta infatti che nei 23 paesi dell’indagine, tra cui l’Italia, gli insegnanti «rispondono positivamente alla valutazione e al feedback. […] Gli insegnanti tendono a riferire che valutazione e feedback li aiutano nel loro lavoro, aumentano la loro soddisfazione professionale. […] Inoltre, gli insegnanti riferiscono che valutazione e feedback promuovono in modo significativo il loro sviluppo professionale. Otto insegnanti su dieci riferiscono di aver ricevuto forme di valutazione o feedback nei confronti del loro lavoro, nella maggior parte dei casi attuati dai loro dirigenti o da altri insegnanti all’interno della loro scuola». (Michael Davidson “Politiche di innovazione per la scuola”, pag. 31 – Associazione Treelle – Seminario n.11 del giugno 2009)
Pur ipotizzando che queste conclusioni valgano solo per gli altri 22 paesi (compresi Corea del sud, Messico, Turchia, Brasile e Malaysia, sia detto con tutto il rispetto per quei paesi e per i loro sistemi scolastici) e non per l’Italia, rimane pur sempre il dubbio che davvero qualcosa stia cambiando.
Fino a pochi anni fa il lavoro del docente era considerato non-valutabile da nessuno, insindacabile e, soprattutto, ahimè, irrimediabilmente appiattito, a livello retributivo e non solo, come se tutti svolgessero questa professione nello stesso identico modo.
Forse adesso la tendenza si sta invertendo. Forse qualcuno ipotizza che davvero, così come il docente valuta ogni giorno i suoi alunni, possa essere anche lui oggetto di valutazione. E qualche docente, cosa inaudita, sarebbe anche disposto a sottoporsi alla valutazione del proprio operato, perché non ha nulla da nascondere, anzi è stufo che il proprio lavoro sommerso, la propria professionalità non sia mai riconosciuta.
È di qualche giorno fa la notizia che in una scuola di Legnano per la prima volta il Dirigente Scolastico ha operato una differenziazione tra i dipendenti in base al merito. (“Legnano. Stipendi in base al rendimento, prove tecniche di meritocrazia” Orizzonte Scuola – 8 gennaio 2010 di Giulia Boffa).
Sono cose da far accapponare la pelle! Se qualche insegnante, però, fosse preoccupato che il Decreto Brunetta metta a repentaglio il legittimo egualitarismo (leggasi “appiattimento”) delle retribuzioni, e conferisca un potere straordinario, incontrollato e dittatoriale ai dirigenti scolastici, vorrei tranquillizzarlo. La storia della legislazione scolastica, a partire dalla legge della autonomia, è la dimostrazione che la struttura elefantiaca-ministeriale della scuola è in grado di digerire e metabolizzare qualsiasi tipo di cambiamento, generando alla fine un topolino che è solo una piccola larva, lontana ed evanescente parvenza, di tutte le trasformazioni che sembravano epocali e deformanti.
Chi non ricorda il modo in cui fu colpito e affondato il concorsone proposto da Berlinguer, e con esso, per almeno un decennio, l’idea stessa di diversificazione dello stipendio all’interno delle nostre istituzioni scolastiche? La buona mamma chioccia saprà ancora una volta difendere lo status quo, non preoccupatevi. Inoltre lo stesso decreto prevede che una piena attuazione del suo articolato possa avvenire solo dopo i prossimi contratti di lavoro, e pone alcune limitazioni alla sua realizzazione, proprio nel comparto istruzione.
Tuttavia, a parte gli scherzi, tra gli aspetti positivi, a mio parere, del decreto, c’è da notare la presenza della parola “merito” in un provvedimento del genere. Infatti il decreto prevede nell’art.19 che il personale delle Pubbliche Amministrazioni (quindi anche delle scuole) sia diviso in base ai livelli di performance in tre fasce: la fascia di merito alta, in cui è collocato il 25 per cento del personale, la fascia di merito intermedia, nella quale è collocato il 50 per cento del personale, e la fascia di merito bassa, per il restante 25 per cento. Per alcune amministrazioni è previsto, ai sensi dell’art. 14 del decreto, un apposito “Organismo indipendente di valutazione della performance.” Il sistema scolastico, ai sensi dell’art. 74, comma 4, sembra escluso da questo.
Ci si potrebbe chiedere, allora, se spetta al dirigente scolastico il compito di suddividere il personale in base alla performance. Qualcuno grida allo scandalo. Io, invece, citando di nuovo l’indagine TALIS, vedo come naturale, come connaturato alla professione del dirigente, il potere di discrezionalità, potere di cui il dirigente è soggetto passivo, oltre che soggetto attivo. Lo strumento della valutazione in mano al dirigente non è poi così diverso dallo strumento che abbiamo nelle nostre mani, in qualità di docenti, tutti i giorni, e tutte le notti per quelli che hanno spesso pacchi di compiti, per niente facili da correggere. Sappiamo che forse certi dirigenti non saprebbero essere imparziali, ma allora occorrerebbe rivedere la formazione e il reclutamento dei dirigenti scolastici, non dare per scontato che i dirigenti in Italia non saranno mai, per assunto, professionali nella valutazione del personale.
Del resto, essi hanno una serie di strumenti conoscitivi per verificare quali sono i docenti che davvero lavorano, la cui performance è apprezzata, e quelli meno meritevoli di incentivi.
Comunque, il decreto prevede che anche il dirigente sia sottoposto a giudizio, e gli stessi dirigenti sono suddivisi per fasce di merito.
Tutti noi, dobbiamo rassegnarci, siamo professionisti sottoposti anche al giudizio dell’utenza, e forse non ci siamo resi conto che già siamo ogni giorno giudicati dagli alunni (non solo noi giudichiamo loro, ma loro giudicano noi).
Un altro punto a favore del decreto è il ridimensionamento dei poteri forti, che hanno favorito questo stato di appiattimento retributivo, e non hanno considerato il docente come un professionista, ma piuttosto alla stregua di un impiegato.
Unico punto a sfavore: il merito dovrebbe essere incentivato con una corresponsione maggiorativa rispetto a quanto i docenti percepiscono oggi di stipendio alla fine del mese. Invece, l’attuale situazione economica e amministrativa non promette bene da questo punto di vista. Rendiamoci conto, quindi, che certe valorizzazioni del merito e della perfomance non devono rimanere dichiarazioni di principio, ma si devono attuare attraverso atti anche coraggiosi da un punto di vista finanziario, per invertire la tendenza di una scuola, e in generale di una pubblica amministrazione, non efficiente.