La settimana scorsa si è svolta nelle classi quinte dei licei scientifici la seconda simulazione della prova di matematica dell’esame di Stato, dopo quella del 25 febbraio.
Le simulazioni sono state proposte per permette agli studenti (e ai docenti) di familiarizzare con una diversa impostazione dei problemi (lo studente è chiamato ad affrontarne uno a scelta tra due).
Il cambiamento risponde alla necessità di verificare la competenza dei ragazzi nella modellizzazione matematica di situazioni reali, su cui insistono le Indicazioni nazionali allegate al riordino dei licei avviato nel 2010/2011 e che quest’anno giunge a compimento.
I problemi, intitolati significativamente “Curva Nord” e “Il vaso”, hanno un testo più chiaro e coerente rispetto a quelli di febbraio, in cui alcune richieste erano di difficile decodifica e la contestualizzazione per certi versi banale e sicuramente costituiscono un cambiamento marcato rispetto agli anni precedenti.
Alcuni insegnanti si lamentano del fatto che la materia è stata tolta dall’astrazione che le sarebbe più propria. Ma, a mio parere, proprio questo era un limite dell’impostazione precedente, in cui si affrontava il problema in modo astratto dal contesto che lo aveva generato per poi concludere, ad esempio, il calcolo differenziale e integrale con le “applicazioni” alla fisica, come se non fossero stati proprio problemi di fisica a stimolare l’elaborazione di questi strumenti. Proprio la possibilità di maggiore integrazione delle discipline e in primo luogo della fisica è uno degli aspetti positivi di questo cambiamento, quando a scuola troppo spesso la sintesi tra le discipline è affidata allo studente.
D’altra parte, è giusto evidenziare come sia riduttiva l’idea che la matematica diventi più utile o più interessante quando serve a risolvere problemi reali. Per chi la pratica, la matematica costituisce una realtà in sé, un mondo in cui si incontrano oggetti, metodi e problemi, che, sebbene siano creazioni dell’intelletto, acquistano in qualche modo una fisionomia indipendente da chi li ha creati e si propongono al soggetto con l’alterità che connota i dati di realtà. Che poi queste libere creazioni dell’intelletto descrivano in modo imprevedibile e adeguato tanti fenomeni della realtà fisica e non solo, è a tutt’oggi una sfida per una ragione non ridotta. Negli anni scorsi il Miur ha proposto problemi che indagavano oggetti matematici conducendo a scoprirne proprietà non scontate; sarebbe probabilmente opportuno non limitare l’argomento dei problemi solo alle situazioni di realtà.
I dieci quesiti sono stati, invece, formulati in modo tradizionale, come era stato annunciato; non contenevano particolari difficoltà, anzi si possono considerare mediamente più semplici di quelli assegnati negli ultimi anni agli esami di Stato. Hanno riguardato in buona parte gli argomenti del quinto anno introdotti dalle Indicazioni nazionali (equazioni differenziali, variabili casuali, geometria analitica dello spazio); si intravede in questo la preoccupazione di offrire agli studenti e agli insegnanti esempi relativi agli argomenti “nuovi” e, se si vuole, l’intenzione di “mandare il segnale” che tali argomenti non vanno trascurati.
Se questo è comprensibile, lo è di meno la presenza di contenuti e metodi che non compaiono nelle Indicazioni (come le serie) o almeno non in quelle del quinto anno (calcolo combinatorio) su cui dovrebbe vertere la prova di matematica. Prima dell’emanazione delle Indicazioni nazionali il Miur ha utilizzato la prova di esame, di fatto, per svecchiare i programmi ufficiali fermi al 1944; oggi, in presenza di indicazioni di così recente approvazione, questo utilizzo della prova non è più ragionevole. Gli insegnanti hanno ben altro di cui occuparsi piuttosto che acquisire la snervante abilità di “divinare” l’esame di Stato.