«È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio»: l’articolo 30 della Costituzione italiana è di una chiarezza estrema, infatti non solo riconosce ai genitori il diritto, ma detta loro l’obbligo di attendere compiutamente ai propri figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Ma questo articolo della Carta costituzionale è pienamente rispettato? Se il dovere di mantenere i figli è riconosciuto, tanto che se dei genitori non ottemperano a questo loro obbligo, sono perseguiti dalla legge, il dovere/diritto di educare e istruire i propri figli non è rispettato, bensì continuamente discriminato.
Istruire ed educare significa avere la possibilità di scegliere fini, tempi, strumenti e mezzi, quale modalità concreta per esercitare questa responsabilità; da qui ne consegue la possibilità di interloquire nella scuola in ordine alla formazione culturale dei ragazzi, ma non solo, ne consegue anche la dovuta libertà concreta di scegliere la scuola a cui indirizzare i propri figli; questa libertà, che è alla radice del senso di responsabilità, non è rispettata a causa delle condizioni avverse di ordine culturale ed economico che ne impediscono l’esercizio.
Cresce il numero dei genitori che intendono esercitare il loro diritto di scegliere una scuola diversa da quella statale. La richiesta di una “parità autentica” – cioè di pari dignità e di equipollenza economica – è una questione che toccando la scuola fa riferimento al fondamento stesso della società: la famiglia. Ne consegue che i beneficiari della “parità” non sono gli Enti gestori: sono le famiglie. Riconoscerle compiutamente è una questione di giustizia sociale e di rispetto dei diritti di ognuno e di tutti. Il sostegno per coloro che frequentano scuole non statali paritarie va ritenuto doveroso, derivando, per lo Stato, l’onere finanziario, per assicurare al cittadino la gratuità dell’obbligo e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, dall’inalienabile diritto costituzionale che egli ha per il fatto stesso di essere nato e non per il fatto di frequentare o meno la scuola dello Stato. Ma non solo: si tratta dell’assolvimento da parte dello Stato degli obblighi costituzionali derivanti dal combinato disposto dall’art. 34 della Costituzione e dall’art. 1 della legge 62/2000 relativamente alla gratuità da parte del servizio pubblico esplicato dal sistema nazionale di istruzione.
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Lo Stato deriva il suo valore, la sua autorità e i suoi limiti, nell’operare per il bene e al servizio dei cittadini. Tale concezione trova riscontro nell’art. 2 della nostra Costituzione – «La Repubblica italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» – e ritiene ormai acquisite alcune conquiste di convivenza democratica: il principio di sussidiarietà che regola l’azione dei pubblici poteri, la quale deve avere carattere di orientamento, di stimolo, di supplenza e di integrazione, sostenendo in modo suppletivo le membra del corpo sociale; l’autonomia che riconosce alle istituzioni scolastiche l’espressione di autonomia funzionale tesa alla realizzazione dell’offerta formativa, promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi del sistema di istruzione.
Nel solco di queste premesse si colloca la Legge sulla parità scolastica (L. 62/2000), secondo tratti di disciplina che, anche in ragione dei requisiti richiesti alle scuole pubbliche paritarie, inducono il legislatore a considerarle, al pari della scuola pubblica statale, elemento costitutivo di un organico sistema volto all’attuazione dell’istruzione e della formazione (sino ai 18 anni), costituzionalmente assunto dallo Stato nei confronti del cittadino (art. 34 Cost.). È agevole concludere, quindi, che la stessa qualificazione legislativa di scuole pubbliche paritarie, per quegli istituti che soddisfano le condizioni previste dalla legge, giustifica la legittima aspettativa non solo di ottenere leggi che assicurino – come dice la Costituzione – “piena parità”, ma anche condizioni economiche che assicurino l’utenza nel loro diritto di scelta, in ossequio, tra l’altro, anche al precetto costituzionale che riserva ai loro alunni/studenti un trattamento scolastico “equipollente a quello degli alunni di scuole statali” (art. 33, comma quarto, Cost.).
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Se infatti l’istruzione è, oltre che diritto individuale, anche “bene pubblico”, discendono alcune conseguenze: è compito pubblico (cioè dello Stato-comunità, della Repubblica) rendere effettivo su un piano di parità tale diritto; non è possibile – anzi, illegittimo alla luce della Costituzione – limitare tale libertà introducendo ragioni di disparità economica; è compito dello Stato-comunità, in quanto l’istruzione è bene pubblico, sostenerne economicamente il conseguimento; va attivata una modalità equitativa per realizzare sia la libertà di scelta sia il sostegno economico.
Va quindi riconosciuta a genitori e famiglie la loro responsabilità educativa e condizioni di pari dignità e di uguaglianza nella scelta della scuola. Cercare di dare questa possibilità alle famiglie vuol dire, tra l’altro, migliorare il sistema nazionale di istruzione, qualificare e selezionare i grandi costi dell’istruzione, elevare il livello qualitativo degli studi e l’affezione agli studi stessi da parte degli studenti. Significa, in ultima analisi, motivare in tutti i soggetti della scuola una maggiore responsabilità.