Egr. ministro Profumo,
ho sempre trovato gusto nell’esporre le mie opinioni e ho sempre trovato il tempo per farlo e dunque se decido di scrivere è perché lo ritengo doveroso oltre che importante. Desidero inserirmi nel dibattito attuale, anche se dai modi con cui è stato presentato sembrerebbe che il Suo provvedimento sia ineccepibile e dunque neanche necessiti di condivisione. La prego di tenere in considerazione quanto Le scrivo in un’ottica di critica costruttiva.
Non posso che partire dalla mia esperienza personale per dar voce all’ingiustizia che intravedo nel suo provvedimento. La battaglia mediatica che va ahimè rafforzandosi negli ultimi anni contro la classe docente, costringe noi docenti ad una riflessione profonda e importante.
Innanzitutto desidero chiamare la mia attività lavorativa “professione docente”, perché i docenti sono dei professionisti della materia e degli educatori impegnati a 360 gradi in questo campo anche se contrattualmente lavorano solo (!) 18 ore la settimana.
Uno scambio di battute con il mio attuale dirigente che conosco solo da poche settimane è sufficiente per chiarire il quadro. Egli equiparava le ore svolte da un insegnante a quelle svolte da un operaio in fabbrica e sposando la Sua tesi sosteneva che il nostro lavoro fuori dalla classe andasse svolto a scuola timbrando un cartellino. A parte il paragone infelice che mi ha trovato basita, ci tengo a precisare che quand’anche io avessi un ufficio con telefono e computer, stampante e connessione internet il mio lavoro subirebbe comunque un calo qualitativo, perché la vera connotazione di noi insegnanti, oltre ad essere quella di avere una formazione costantemente in aggiornamento, è quella di essere creativi e molto legati (in senso affettivo) alla nostra professione. Abbiamo a che fare con dei ragazzi che stanno crescendo e Le assicuro che le dinamiche educative implicate nella nostra professione sono molteplici e non sempre semplici, perché, essendosi incrinato il rapporto di fiducia tra i genitori e noi docenti, spesso ci troviamo soli di fronte a situazioni gravi di disagio.
Le ore contrattuali sono un involucro che contiene, Le assicuro, un mondo che, su questo mi trova d’accordo, andrebbe contabilizzato. Da sempre sostengo che noi insegnanti dovremmo compilare un time-sheet a fine settimana, da presentare a scuola. Come nelle aziende. Inoltre trovo fondamentale che si stipuli un protocollo condiviso in modo da seguire una linea comune nell’affronto dei problemi. Perché non si deve confondere la creatività con l’inventiva personale che procede solitaria senza confrontarsi con i colleghi e con la situazione attuale.
Io personalmente, entrata in ruolo quest’anno, dopo una decina di anni di peregrinazione nelle scuole milanesi e dopo un quinquennio passato all’istituto Cavalieri, dove finalmente avevo trovato un dirigente non burocrate che mi ha sempre trattato con rispetto e professionalità, ho scelto di esercitare la mia professione part-time, proprio per poterla svolgere al meglio e conciliarla con la famiglia. Le assicuro che molte ore dei due giorni in cui non lavoro contrattualmente li passo a programmare e ad aggiornarmi. Sono fatta così! E soprattutto non mi vergogno di dire che le ore passate a scuola sono molto intense e richiedono una quantità di energia che ha necessità essere recuperata!
La prego di considerare che non sarebbe difficile andare a fare una verifica di chi nella scuola per vari motivi non svolge il suo ruolo di insegnante. Ci conosciamo tra di noi e soprattutto non sono tanti questi colleghi. Non trovo giusto che per colpa di alcuni a pagare siano sempre coloro che svolgono al meglio la propria professione. Potrei fare degli esempi, ma lascio a Lei questo compito. Perché, invece che fare tagli indistinti, non andiamo a premiare quelle realtà scolastiche di eccellenza che già esistono nel paese? Non siamo macchine, siamo persone umane. Io personalmente non credo di aver mai preso un giorno di malattia e sono stata credo la prima in Italia a chiedere di poter lavorare fino all’ottavo mese di gravidanza, quando ciò è stato possibile.
Rita De Cillis