Sollecitato dagli amici del ilsussidiario.net, gradirei raccontarvi di un viaggio dal quale sono appena tornato e che non rientra nei “classici” consigli che un’agenzia viaggi potrebbe offrirvi.
Per coloro che come me non amano gli impersonali villaggi turistici con annesso braccialetto “all inclusive”, questa lettura potrebbe essere anche utile alla programmazione futura della visita di questo stato così poco conosciuto.
Sto parlando dell’Armenia, tormentata nazione caucasica che si trova in quella particolare fascia di terra compresa fra il Mar Nero ed il Mar Caspio: una zona che non si sa mai se sia il caso di classificare come più appartenente al continente europeo o a quello asiatico. Curioso è il fatto che, se “ufficialmente” l’Armenia (ma così è anche per la vicina Georgia) andrebbe collocata in Asia, molti la considerano uno stato europeo in virtù di una vicinanza più storico-culturale che geografica. Prova è che molte delle sue strutture interne (come ad esempio il comitato olimpico o molte federazioni sportive) rispondono alle direttive degli stessi organismi europei ai quali sottostanno nazioni come Italia, Francia e così via.
Già al tempo di Cristo gli Armeni occupavano un territorio assai vasto che aveva sbocchi su ben tre mari: Nero, Caspio e Mediterraneo.
Poi, a partire dai nostri antenati Romani, questa sfortunata terra fu scenario di numerosi conflitti, razzie e spartizioni; effettuate da arabi, mongoli, persiani, turchi selgiuchidi, turchi ottomani, russi, ancora turchi ed infine sovietici.
Ormai in molti siamo a conoscenza delle nefandezze messe in atto dai “Giovani Turchi” nel 1915/16, durante quel genocidio che tutto il mondo celebra il 24 Aprile di ogni anno. Dopo la caduta dell’impero Ottomano, il movimento dei “Giovani Turchi” sostenne una politica fortemente persecutoria nei confronti dell’etnia armena che abitava (da sempre) le regioni dell’Anatolia, accusandola di essere un ostacolo per il nascente stato Turco. Centinaia e centinaia furono le esecuzioni sommarie, ma soprattutto più di un milione di persone vennero costrette ad abbandonare le proprie terre, in quanto destinate ad ospitare l’attuale Turchia. Gli sfollati non venivano così spudoratamente messi a morte di fronte agli osservatori internazionali, ma semplicemente allontanati con la libertà di rifarsi una vita. Ma di fatto, essendo i profughi tutti forzosamente fatti incamminare verso i deserti della Siria e dell’Iraq, vennero fatti morire crudelmente di stenti.
Una visita al museo del Genocidio che si trova nella capitale Yerevan, è una di quelle cose che restano nella mente per parecchio tempo e che ci danno l’idea di come l’uomo, più alta e nobile creatura di Dio, grazie alla sua libertà possa trasformarsi anche nella più bassa e bieca creatura al servizio del male più orrendo.
Nel 1918, grazie alla vittoria nella battaglia di Sardarapat, l’Armenia riuscì a contenere l’avanzata dei turchi ed a delimitare i confini del proprio stato così come li vediamo attualmente. Ma la libertà durò ben poco: già nel 1920 l’Armenia venne invasa dalle truppe bolsceviche russe, e nel 1936 venne a tutti gli effetti inglobata fra le repubbliche socialiste sovietiche che componevano l’URSS.
In seguito al crollo del muro di Berlino, ed al disfacimento dell’impero Sovietico, finalmente nel 1991 l’Armenia riuscì ad ottenere la tanto agognata libertà.
Storicamente, l’Armenia può comunque vantare un primato di non poco conto: è stata la prima nazione che, nel 301 d.C., adottò il cristianesimo come religione ufficiale di stato.
I primi a testimoniare i prodigi del Cristo in questa terra furono i due apostoli Bartolomeo e Taddeo già nel primo secolo.
Nel terzo secolo, San Gregorio Illuminatore (proprio quel “San Gregorio Armeno” che si venera a Napoli) dopo essere stato arrestato dal re Tiridate III a causa del suo proselitismo cristiano, e segregato per tredici anni in una cella sotterranea (ancora visitabile) nel monastero di Khor Virap (che infatti significa “prigione profonda”), riuscì a guarire miracolosamente il sovrano stesso da un male che nessun medico era riuscito a debellare. Tiridate III, come riconoscenza verso il Santo, non solo mise in atto la propria conversione personale facendosi battezzare, ma appunto fece della Chiesa Armena la prima Chiesa cattolica nazionale della storia.
Il culto interno di Cristo si diffuse poi anche grazie alle trascrizioni dal greco dei testi sacri operate da Mesrope Mashtots, un monaco teologo e linguista che inventò così l’alfabeto armeno ancora usato al giorno d’oggi.
Oggi questa Chiesa, in seguito alle divisioni sorte dal concilio di Calcedonia del 451, non risponde al pontefice di Roma, ma viene definita “Chiesa Apostolica (o Ortodossa) Armena” e riconosce come sua massima autorità il Katholikos di tutti gli Armeni, il quale risiede ad Ejmiadzin, la “città santa” Armena. L’attuale Katholikos è sua santità Karekin II, che ha incontrato solennemente a Roma il fratello nella fede Benedetto XVI lo scorso Maggio.
L’Armenia è una terra ricca di fede, e di luoghi che provano lo stretto legame fra questo popolo e la fede stessa.
Lo scopo del mio viaggio, effettuato assieme ad un carissimo amico (in virtù del famoso detto che consiglia per un viaggio perfetto “uno è poco e tre sono troppi”), era proprio quello di visitare i numerosi monasteri disseminati per tutto il territorio Armeno. Purtroppo molti di questi edifici oggi si trovano in territorio turco ( e perciò assolutamente destinati ad un forzato oblio e lasciati alla progressiva autoconsunzione), o sul territorio del Nagorno-Karabak, enclave armena sita nel territorio dell’Azerbaijan che ha ottenuto poi una semi-indipendenza in seguito alla sanguinosa guerra degli anni ’90.
Sul territorio dell’attuale Armenia restano circa trenta monasteri, dei quali almeno venti meritano una visita, e quattro (oltre che essere patrimonio dell’Unesco) meritano abbondantemente i soldi ed il tempo spesi per un viaggio dall’Italia.
L’Armenia ha una superficie di circa 30.000Kmq (come Piemonte e Valle d’Aosta): quindi facendo base nella capitale Yerevan e noleggiando un 4×4 (le strade spesso sono quello che sono…) è possibile visitare tutto lo Stato mediante escursioni giornaliere che prevedano una partenza dalla base la mattina presto ed un ritorno in serata. Così facendo, una settimana è più che sufficiente per dedicarsi con la giusta attenzione a tutto ciò che di interessante ci può essere da vedere a Yerevan e dintorni.
La capitale è l’unica città degna di nota: oltre al già citato “museo del Genocidio” sono certamente motivo di visita gli archivi “Matenaradan” che conservano una ricca collezione di preziosi manoscritti antichi, i resti dell’antica cattedrale di Zvarnots (V sec.), la cattedrale di San Gregorio, e la vicina città di Ejmiadzin, sede della Chiesa Ortodossa Armena.
Ma è fuori Yerevan che si trovano i veri tesori di questa terra: quegli antichi monasteri risalenti ad un arco di tempo compreso fra il IX ed il XII secolo, e probabilmente fioriti in una delle tante pause concesse a questo martoriato popolo fra una dominazione e l’altra. Molti infatti sono i tesori che poi nel tempo (specie durante le dominazioni arabe) sono stati rasi al suolo o irrimediabilmente danneggiati.
La struttura di questi centri di culto è quasi sempre la medesima: vi è un “gavit” (una sorta di portico o nartece) delimitato da mura e coperto da una cupola, il quale è antistante ad una chiesa principale dedicata alla Madre di Dio o a San Gregorio. A lato della chiesa principale (spesso anche comunicante)si trova una chiesa secondaria dedicata all’uno dei due ai quali non era dedicata la chiesa principale. Infine vi è una terza cappella separata e dedicata ad un Santo particolarmente venerato in quella zona.
Non aspettatevi imponenti o complesse strutture architettoniche, né basiliche dalle dimensioni simili a quelle delle nostre chiese, e nemmeno pareti finemente affrescate. Le chiese sono piccole (spesso poco più di 10/15 mq), architetturalmente semplici e completamente prive di affreschi (tranne qualche rara eccezione che ha evidentemente subito un’influenza postuma georgiano-bizantina).
E’ nella lavorazione della pietra di costruzione, nell’intaglio di colonne e pareti, nell’arte del bassorilievo che questi edifici rivelano il loro valore e lasciano il visitatore a bocca aperta. Ed è soprattutto l’arte delle “khachkars”, croci scolpite all’interno di grossi blocchi di pietra di circa un metro per due, che non può lasciare indifferente nemmeno il turista più distratto: i monasteri sono disseminati di croci latine fiorite, decorate con infiniti motivi geometrici ed impreziosite con figure di Santi, di Cristo, di Dio Padre, di Maria. Alcune, per la complessità dei motivi che le circondano, sembrano ricamate all’uncinetto più che scolpite nella pietra!
Haritchavank, Marmashen, Makaravank, Haghartsin, Goshavank, Sevannavank, Hayravank, Tatev, Khor Virap: tutti monasteri da scoprire con grande interesse.
Ma assolutamente da non perdere sono Noravank, Geghard, Sanahin ed Haghpat.
Eccezionali costruzioni inserite in fantastiche ambientazioni naturali: i monaci avevano decisamente un ottimo fiuto nello scegliere le “location” per i loro luoghi di preghiera e meditazione!
Lascia un po’ perplessi il fatto che, nonostante siano tutti monumenti storici di grandissimo valore nazionale ed internazionale, non siano assolutamente segnalati lungo le strade. Preparatevi quindi una grossa dose di voglia di stare parecchio al volante (meglio noleggiare un mezzo proprio: le guide turistiche prediligono solo le visite ai monastri più “turistici”, mentre i veri gioielli sono quelli poco inesplorati!) e la pazienza nel dover chiedere indicazioni almeno venti volte prima di raggiungere la meta desiderata. Quantomeno gli armeni (forse anche consci dell’assoluta ininterpretabilità della loro scrittura!) si sono a noi rivelati come un popolo disponibilissimo, aperto, più che gentile e capace di dividere anche quel poco che ha con lo straniero che passa per la sua terra.
Splendide chiese, quindi, inserite in splendidi contesti: alcune viste del monte Ararat (5.165 m.s.l.m.), il monte che secondo la leggenda cela ancora oggi l’arca di Noè, sono davvero impagabili. Il monte è “sacro” per gli armeni, ed anche se a causa dei numerosi conflitti ora si trova in territorio turco, le migliori viste panoramiche sono apprezzabili proprio dal lato della montagna che guarda verso l’Armenia.
Un viaggio che mi ha lasciato solo ricordi positivi, eccetto uno, che però ha rafforzato la convinzione di essere sempre stato ragionevolmente e con merito visceralmente anticomunista per tutto il corso della mia vita: se c’è una cosa orrenda in Armenia, questo è lo scempio architettonico lasciato dall’impero sovietico.
Enormi, fatiscenti, anonimi palazzoni tutti incredibilmente identici anche qualora fossero stati a centinaia di chilometri di distanza l’uno dall’altro, dove vivono tutt’ora ammassati come formiche centinaia di famiglie. Fabbriche abbandonate costruite deturpando luoghi naturalisticamente preziosissimi, dighe ed invasi inutili ed infatti ora lasciati inutilizzati, infinite stele commemorative con falci e martelli inneggianti al cielo.
Un cielo che gli è ricaduto tutto sopra la testa: Madonna di Fatima batte Stalin ancora una volta, e viva la Repubblica Indipendente d’Armenia!