Domani si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Biodiversità: un momento ormai tradizionale per portare l’attenzione su un tema cruciale per il futuro del Pianeta. Lo aveva affermato la Convenzione sulla diversità biologica, firmata da tutti gli Stati membri nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992, sottolineando come la conservazione e l’utilizzo compatibile della diversità biologica rappresentino due elementi indispensabili per conseguire una crescita sostenibile e per realizzare gli obiettivi di sviluppo in materia di povertà, salute e ambiente (i cosiddetti Millennium Goals).
Quest’anno poi la data del 22 maggio è il culmine di un anno tutto dedicato alla biodiversità e punto di arrivo di un percorso che avrebbe dovuto portare a una sensibile riduzione del tasso di perdita della biodiversità: in questo senso si erano accordati i capi di Stato di tutto il mondo, al vertice mondiale sullo sviluppo di Johannesburg nel 2002.
Bisognerà aspettare la fine di questo anno per stilare un bilancio esauriente e valutare quanto quegli obiettivi siano stati conseguiti; le prime stime peraltro, non sembrano contrassegnate da particolare ottimismo. Sarà anche interessante esaminare le conclusioni della “Conferenza Nazionale per la Biodiversità” iniziata ieri all’Università “La Sapienza” a Roma su iniziativa del Ministero dell’Ambiente e dove sarà presentata la Strategia Nazionale per la Biodiversità, attraverso la quale integrare le esigenze della biodiversità con lo sviluppo e l’attuazione delle politiche settoriali nazionali e regionali.
Motivo di più trovare uno spazio di riflessione, a metà di questo anno biodiverso, sul valore e i significati di un concetto il cui senso approssimato è abbastanza facile da intuire ma le cui implicazioni sono molto più ampie.
Già il termine richiede alcune precisazioni. Nella sua originale accezione in lingua inglese, biodiversity più che alla diversità fa riferimento alla varietà del mondo biologico, tanto che sarebbe più appropriato chiamarla biovarietà. Ciò mette in luce un carattere tipico della realtà naturale: la grande ricchezza e sovrabbondanza di forme, di specie, di risorse; potremmo anche dire di segni, quindi di messaggi che colpiscono l’uomo e che sono una fonte di interrogativi e di stimoli.
È questo un primo livello interessante del discorso sulla biodiversità, che invita ad andare oltre il puro dato biologico per aprirsi alla dimensione della meraviglia e del desiderio di una più piena comprensione non solo dei meccanismi di funzionamento della biosfera ma soprattutto dei suoi significati.
Certo, per poter “celebrare” adeguatamente la giornata di domani e non ridurla alla solita triste azione di protesta è opportuno rimuovere un tipo di giudizio a volte dichiarato esplicitamente ma più spesso presente sotto traccia in tanti proclami naturalistici e che comunque agisce da blocco ideologico che si frappone tra l’uomo e la natura: è l’idea, di impronta New Age, che la varietà contemplata negli esseri viventi sia una varietà indistinta, prevalentemente quantitativa, fatti di tanti livelli ma tutti equivalenti quanto a valore e significato; con la conseguenza che a tutti si possono applicare gli stessi criteri e che non esistono priorità o vie preferenziali.
Sono molte invece le evidenze che indicano la presenza nella biosfera di un punto di discontinuità, di un vivente che, pur emergendo dalla stessa storia evolutiva di tutti i viventi, si distingue per la sua capacità di prendere coscienza di questa stessa storia. È l’uomo, cioè la presenza più biodiversa sulla scena planetaria e che nei confronti della biodiversità può fare tre cose.
Può ammirarla, con lo stupore e la sorpresa tipica del bambino ma che è stata quella di tanti grandi naturalisti, da Sant’Alberto Magno, a Nicolò Stenone, a Charles Darwin, a Konrad Lorenz.
Può utilizzarla, rispettandone gli equilibri ma cogliendone tutta la capacità di offrire “servizi ecosistemici”, come ormai si definiscono una serie di prestazioni e di vantaggi pratici che vanno dalla fornitura di biomasse, alle azioni di regolazione – come la stabilizzazione del clima, l’assestamento idrogeologico, la barriera alla diffusione delle malattie, la qualità delle acque – ai servizi di supporto ambientale, quali la formazione dei suoli, il riciclo dei nutrienti, la stessa fotosintesi.
Sono sempre più frequenti gli studi che mettono in risalto il valore anche economico della biodiversità; tanto che, su impulso della Commissione Europea è stato costituito il centro TEEB – The Economics of Ecosystems and Biodiversity, che sta producendo una serie di studi volti ad esplorare e quantificare tale valore, individuando gli indicatori da tenere sotto osservazione e suggerendo a politici e business men le azioni da compiere con urgenza, come l’arresto della deforestazione, la protezione delle barriere coralline, la protezione e il recupero del settore ittico e così via.
Infine l’uomo è l’unico che può agire per tutelare la biodiversità e conservare gli enormi tesori costituiti dalle varietà di ecosistemi, di animali e di piante. Si pensi, in quest’ultimo caso, alle attività di conservazione dei sistemi vegetali sia direttamente sul campo sia attraverso la raccolta dei semi e la loro conservazione nelle apposite “banche”: come quelle della rete Ribes (Rete Italiana Banche del Germoplasma per la Conservazione ex situ della Flora Spontanea Italiana), o del progetto europeo Ensconet (European Native Seed Conservation Network) o quella del suggestivo Deposito sotterraneo globale dei semi (Global Seed Vault), localizzato nell’arcipelago norvegese delle Svalbard a circa 1200 km dal Polo Nord.
Ma per apprezzare il ruolo di questo punto di discontinuità sulla scena del mondo, occorre rimuovere un altro blocco ideologico: quello che vede l’uomo come un intralcio alla spontanea evoluzione della natura e come un potenziale fattore di turbamento degli ecosistemi invece che come “custode e amministratore responsabile del creato, ruolo di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare” (Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2010).