La Corte europea dei diritti dell’uomo accoglie il ricorso di una coppia italiana contro la legge 40. La legislazione italiana infatti relativa alla fecondazione assistita non prevede la possibilità di ricorrere alla fertilizzazione in vitro per poter fare screening embrionale. La legge 40 del 2004 permette di ricorrere alla fertilizzazione in vitro solo alle coppie sterili o a quelle in cui il partner maschile abbia una malattia sessualmente trasmettibile ad esempio l’Aids. A fare ricorso erano stati i signori Rosetta Ciosta e Walter Pavan, i quali soffrono entrambi di fibrosi cistica, malattia genetica trasmettibile in un caso su quattro al nascituro. Avevano dunque fatto richiesta di ricorrere alla fertilizzazione in vitro per fare uno screening embrionale, in modo da determinare se il nascituro potesse avere traccia alcuna di malattia. Nella loro richiesta alla Corte di Strasburgo, la coppia ha specificato che in base alla sua attuale formulazione la legge 40 viola il diritto alla vita privata e familiare, oltre a porre una discriminazione di fatto rispetto ad altre coppie. Discriminazione contro cui vanno gli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Come si è espressa la Corte? Essa ha dichiarato che coppie nella stessa situazione di quella italiana che ha presentato ricorso possono oggi ricorrere alla fertilizzazione in vitro e quindi allo screening embrionale. I Paesi che hanno in atto questa procedura sono: Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito. Il caso aprirà polemiche in Italia, in quanto la richiesta della coppia apre la strada alla selezione volontaria dell’embrione, lasciando la possibilità di eliminare quello potenzialmente portatore di handicap e altre patologie. In Italia il dibattito sul tema è molto acceso, tanto che nel 2005 si è anche tenuto un referendum per abrogare alcuni punti della legge 40.
Avevano proposto la consultazione elettorale i radicali, diversi partiti di sinistra ma erano favorevoli all’abrogazione di tali articoli anche esponenti della maggioranza di centrodestra come Gianfranco Fini. In quel caso però l’affluenza alle urne fu estremamente bassa, solo il 25,9% degli aventi diritto al voto. Non fu così possibile raggiungere il quorum.