Negli ultimi due mesi i rapporti tra le tre maggiori Chiese cristiane si sono svolti in una direzione promettente, forse più che in cinquant’anni di dialogo progressista. Con l’apertura di una nuova fase di impegno teologico e collaborazione concreta con gli Ortodossi e gli Anglicani, Papa Benedetto XVI sta cambiando i termini del dibattito sulla riunificazione della Chiesa. Potremmo quindi vedere la fine del Grande Scisma tra Est e Ovest e l’unione delle principali Chiese basate sulla successione episcopale.
Dapprima c’è stata la visita a Roma in settembre dell’arcivescovo ortodosso russo Hilarion di Volokolamsk, l’uomo del Patriarcato di Mosca per le relazioni ecumeniche. In incontri di alto livello, entrambe le parti hanno affermato che la comune resistenza al secolarismo e al relativismo morale spinge a un ulteriore ravvicinamento tra Ortodossia e Cattolicesimo.
Dichiarando che “più che mai, noi cristiani dobbiamo restare uniti”, Hilarion ha insistito sul fatto che ognuna delle parti deve richiamarsi alle tradizioni comuni e lavorare per una maggiore vicinanza in uno spirito di “mutuo rispetto e amore”.
Che si trattasse di qualcosa di più di una semplice cortesia diplomatica è stato confermato dall’arcivescovo cattolico di Mosca, Monsignor Paolo Pezzi. In un’intervista al Corriere della Sera, l’arcivescovo ha detto che l’unione tra Cattolici e Ortodossi “è possibile, anzi non è mai stata così vicina”. La fine formale del Grande Scisma del 1054, che ha diviso le due Chiese per un millennio, e il procedere verso la piena comunione spirituale “potrebbero avvenire presto”.
Sulle questioni dottrinali, il Cattolicesimo Romano e l’Ortodossia Russa sono sostanzialmente in accordo. Hilarion ha riconosciuto che le due Chiese hanno diversi modelli ecclesiologici, con la prima in favore di una struttura più centralizzata guidata dal pontefice, mentre la seconda sottolinea l’autonomia delle province e delle Chiese locali. “Rimane la questione della primazia papale e questa sarà materia per la prossima riunione della commissione cattolico-ortodossa. Personalmente, non ritengo impossibile raggiungere un accordo” ha detto Pezzi.
In effetti, quando Joseph Ratzinger venne eletto Papa nel 2005, uno dei suoi primi atti fu di abbandonare il titolo di Patriarca dell’Occidente. Più che affermare una assoluta supremazia papale, con questo atto Benedetto indicava di essere alla ricerca di una fusione tra la primazia storica della sede di Roma e la giurisdizione universale del Papa e quella delle Chiese locali di Oriente e Occidente.
Il prossimo passo per Roma è di far propria l’enfasi che l’Ortodossia pone sulla conciliarità come contrappeso all’autorità papale. I crescenti attacchi a Benedetto da parte di Cattolici dissidenti come Hans Küng rappresentano poco più che la rabbiosa manifestazione di qualche progressista che si autoesclude dalla riunificazione dei Cristiani.
Nel frattempo, legami più stretti tra le Chiese saranno molto aiutati da collaborazioni concrete. C’è già una notevole convergenza sulla dottrina sociale, come si evince dalla prefazione di Kirill (il Patriarca ortodosso di Mosca) al libro del Cardinal Bertone L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa.
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Sia il Cattolicesimo che l’Ortodossia sono in favore di un’economia sociale di mercato inserita in relazioni comunitarie e al servizio del bene pubblico, e non esclusivamente del profitto privato, un tema in primo piano nella recente enciclica sociale di Benedetto Caritas in veritate.
In modo simile, la visita a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury ha segnato un passo avanti nelle relazioni tra Cattolici e Anglicani. Lungi dall’umiliare il primate della Comunione Anglicana, piantando bandiere vaticane davanti a Lambeth, Benedetto ha sottolineato l’importanza dell’Anglicanismo nel promuovere l’unità di tutte le Chiese cristiane rette su base episcopale.
La presenza di anglicani nel Cattolicesimo potrebbe portare a un migliore apprezzamento dello speciale contributo dell’Anglicanismo alla Cristianità e anche aiutare gli Anglicani a definire una identità episcopale, superando il divario tra progressisti ed evangelici.
Non meno rilevante il fatto che sia il Papa che l’Arcivescovo abbiano parlato in favore di un diverso modello di sviluppo socio-economico, che non poggi esclusivamente sullo Stato o sul mercato, ma che accentui i principi mutualistici della reciprocità e del dono e l’assoluta santità della vita umana naturale, che è relazionale e non individualistica o collettivistica. Questa dottrina sociale condivisa è un punto chiave per l’ulteriore sviluppo di concreti legami e vincoli di fiducia tra i Cristiani di differenti tradizioni.
Questi passi verso la riunificazione della Chiesa sono segni di una rivificata Europa cristiana, una Europa che può usare la sua fede condivisa per trasformare il continente e il mondo intero.