Anche i problemi sociali subiscono le mode, e così è in parte successo a proposito di bullismo nelle scuole.
Nel 2006 il ministro Fioroni aveva messo a tema nelle Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo fatti che avevano interessato le scuole primarie e secondarie, per cui si proponevano percorsi disciplinari di Educazione alla legalità, incontri e iniziative che studiassero, prevenissero e contrastassero i fenomeni di violenza e prevaricazione.
Negli anni successivi si continuò a documentare questo fenomeno, ma poi l’interesse andò progressivamente scemando, anche se dati e statistiche non ne rilevavano una regressione.
Di recente Regione Lombardia ha organizzato un convegno di presentazione del Progetto europeo I am not scared, riguardante il fenomeno del bullismo nella scuola italiana ed europea, ed è stata un buona occasione per riprendere in mano il tema e svolgere alcune riflessioni.
Public Authority del progetto è Valentina Aprea, neo-assessore all’Occupazione e politiche del lavoro, all’Istruzione, formazione e cultura della Regione Lombardia, che ha assistito e concluso l’incontro.Numerosi i partecipanti. Adriana Battaglia Pradi ha introdotto il progetto, svolto dall’Istituto Don Milani di Tradate in rete con altri 10 istituti italiani, e finanziato dalla Commissione europea quale programma di apprendimento permanente, per individuare strategie di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo.
È stato il frutto di due anni di lavoro necessari per tessere rapporti, raccogliere esperienze, dati e statistiche che portassero ad una focalizzazione del problema, all’ideazione di iniziative estensibili a più scuole e di una piattaforma on-line.
La presentazione è stata preceduta da un drammatico video con la testimonianza di un giovane di 14 anni uscito dal tunnel delle violenze subite a scuola dall’età di 7 anni ed ora finalmente in grado di chiedere aiuto, ribellarsi ai suoi aguzzini e collaborare, per ritrovare la fiducia in se stesso e rompere l’omertà che avvolge i colpevoli.
Tutti i comportamenti violenti dei giovani rivelano profondi disagi e conflitti non risolti. Per questo ci interrogano sul futuro delle nuove generazioni e sollecitano tutti i soggetti educativi a riprendere coscienza della vera emergenza della nostra società che, come afferma lo studioso Gardner, è l’educszione della persona. Senza di essa, ha affermato la relatrice, non si costruisce l’identità del soggetto e il riconoscimento del valore di sé e dell’altro.
Successivamente sono intervenuti vari partners stranieri del progetto, che hanno illustrato l’esperienza maturata in Belgio, Bulgaria, Lituania, Regno Unito, Romania e Spagna.
Le strategie più efficaci per rilevare il problema, prevenirlo e contrastarlo sono state, oltre alla collaborazione fra scuola e famiglia, rivelatasi fondamentale, la formazione di dirigenti e docenti, la presenza di esperti, il coinvolgimento degli studenti di una stessa scuola, l’introduzione di discipline di educazione civica, la collaborazione con le associazioni di volontariato e con le istituzioni presenti a livello locale e cittadino, e la divulgazione delle buone pratiche. Esempio di “good practice” è stato il filmato realizzato dalla compagnia teatrale Quelli del Grock, dal titolo Io me ne frego.
L’incontro ha messo in luce il percorso compiuto a proposito della tematica del bullismo e le riflessioni maturate. Oggi si è consapevoli che la cura dell’identitàdella persona costituisca il punto di partenza fondamentale per affrontare i disturbi della personalità. Infatti il comportamento umano è la declinazione della persona nell’ambiente in cui vive.
Ma che cosa si intende concordemente per devianza? Quale significato e contenuto si attribuisce al termine identità della persona? In questi anni si è venuta precisando, anche grazie agli studi sulla famiglia e sui suoi membri condotti da Scabini e Cigoli, che il fondamento e il nucleo centrale dell’identità della persona sia di natura relazionale, cioè costituito e fondato sui legamiche ne tessono la vita. Senza di essi il soggetto si individualizza, si isola, si afferma come autonomo, si convince di farsi da sé e non risponde a nessuno del proprio operato, negando la responsabilità verso gli altri e verso ogni valore morale e sociale.
L’obiettivo degli educatori quindi deve mirare alla progressiva riacquisizione della identità da parte della persona. Ci si chiede allora: come vincere la paura e la resistenza dei famigliari che tendono a censurare e a vergognarsi di ciò che accade tra le mura di casa? La loro collaborazione è infatti irrinunciabile per comprendere l’origine, anche se non l’ unica, dei comportamenti deviati. Forse negli anni passati l’importanza delle famiglie non è stata sufficientemente sottolineata.
Grande attenzione deve essere rivolta anche alle vittime che spesso non vogliono parlare, coprono i colpevoli temendone la ritorsione e subendo talora il fascino perverso del loro operato e vivono la ferita profonda di una mancanza di stima di sé che nasce da lontano e che chiede la presenza di un nuovo ambito di rapporti e di esperienze positive.
Un’ultima riflessione riguarda il rapporto adulto-adolescente-nuove tecnologie. Se è vero che il linguaggio con cui gli adolescenti comunicano e interagiscono è legato all’utilizzo di telefonini, tablet, smart-phone e social network, ci si chiede se e come l’adulto possa entrare in questo spazio e, senza invaderlo, impedirne l’uso distorto con cui vengono diffusi messaggi e immagini che intimoriscono e ricattano i più deboli.
L’assessore Aprea al termine del convegno ha sottolineato l’importanza del progetto I’m not scared, condiviso tra più scuole, città e nazioni europee perché il bullismo è un fenomeno che deve essere considerato come un’interazione di diversi fattorie va affrontato trasversalmente lavorando su tutti gli elementi che lo caratterizzano. In particolare esso è stato voluto con forza dalla Regione Lombardia che ha posto fra i suoi obiettivi prioritari quello di favorire le espressioni di preoccupazione educativa, soprattutto − come ha specificato l’Assessore −, in tempi in cui la società attraversa momenti di crisi e i giovani hanno più bisogno di un aiuto e di un sostegno alla loro fragilità.
A conclusione dell’incontro, Aprea ha rivolto ai partecipanti un incitamento e un augurio citando la frase di don Giussani “è venuto il tempo della persona”, cioè il tempo in cui ciascuno di noi si metta in gioco per affermare la propria consistenza e trasmetterla alle giovani generazioni.