Cos’è la rieducazione, se non il tentativo di offrire un’opportunità al cambiamento? Lo possono testimoniare le storie dei detenuti che non si sono rassegnati ad attendere la fine della pena, ma che hanno intravisto la possibilità di cambiare. E l’hanno presa sul serio, decidendo di imparare o di accettare il lavoro che veniva loro proposto. Lo racconta la mostra “Libertà va cercando che sì cara. Vigilando redimere”, allestita al Meeting di Rimini, che presenta l’esperienza di lavoro tra le sbarre dei detenuti di alcune carceri italiane (tra cui Padova Due Palazzi, Milano San Vittore e Como). È la testimonianza che un cambiamento è possibile perché è la persona a volerlo. Deve scattare qualcosa, e i detenuti lo raccontano bene. Non basta il desiderio di cambiare, o di essere altrove; serve la consapevolezza della colpa. Un cancello rosso, come quelli che si chiudono alle spalle di chi è entrato in carcere, porta il visitatore dentro la straordinaria esperienza che vivono alcuni detenuti grazie al consorzio Rebus e alla coperativa Giotto.
Il lavoro per riconquistare dignità e il rapporto con la realtà – Le cooperative offrono ai detenuti un lavoro per aiutarli a reinserirsi nella società una volta terminata la pena da scontare. Le testimonianze proposte dalla mostra rivelano come, e vista nell’ottica della prevenzione e del reinserimento, la pena può diventare non un parcheggio in attesa di tornare a delinquere – come testimoniano purtroppo i dati, drammatici, relativi alla recidiva: solo il 5% circa di chi lavora in carcere, una volta fuori torna delinquere, contro il 90% di chi non aderisce ad una proposta di rieducazione – ma l’inizio di un cammino di presa di coscienza della colpa commessa e della riscoperta, da parete dei detenuti, di poter essere davvero liberi anche tra le sbarre. “Il mio cuore batte per le stesse cose per cui batte il cuore degli altri uomini”, dice Joshua Stencil, detenuto in un carcere americano.
Le testimonianze – La mostra, curata da Paola Bergamini, Nicola Boscoletto, Alberto Savorana e Giorgio Vittadini, offre le straordinarie esperienze di libertà, concetto che associato al carcere può sebrare paradossale, di uomini che hanno riscoperto il rapporto con se stessi, la loro esistenza, le loro famiglie, attraverso l’incontro con persone che non li ha giudicati, ma, al contrario, li ha saputi riscattare valorizzare attraverso l’esperienza semplice del lavoro. Nella parte finale i visitatori sono accolti dai carcerati che svolgono la professione di cuochi e offrono i loro dolci ai visitatori. Indossano una maglietta con la scritta “24082008 (la data di inizio del Meeting ndr) vale la pena”