Ormai sembra proprio aperta la caccia a chi la spara più grossa in tema di evoluzione; e i media non aspettano altro che poter far rimbalzare notizie sensazionali che possano superare la “selezione naturale” interna alle redazioni e raggiungere rapidamente la prima pagina. Col risultato che, durante i rimbalzi, si perde qualche informazione rilevante e che comunque le conoscenze del lettore medio circa le teorie evolutive restano limitate ai soliti cliché.
Questa volta è bastata una conferenza stampa di un genetista dell’University College di Londra, Steve Jones, a scatenare la bagarre. Certo le sue affermazioni, riportate dal Times, sono a prima vista molto forti e toccano un tasto molto sensibile come è quello dell’evoluzione umana. Jones avrebbe dichiarato che l’evoluzione dell’uomo è finita e che la nostra specie non è più in grado di produrre mutazioni rilevanti per proseguire il suo cammino evolutivo. Le reazioni non si sono fatte attendere. C’è chi ha preso subito per certa l’affermazione e si è lanciato in speculazioni su come potrebbero essere i nostri discendenti fra qualche secolo o millennio; e c’è anche chi ne ha approfittato per tirare in ballo il creazionismo e indirettamente rilanciare la solita presunta alternativa tra creazione ed evoluzione. Tralasciando questi casi estremi, buona parte dei commenti ha cercato di ridimensionare il clamore della previsione e di rassicurare che nulla è cambiato e che l’evoluzione prosegue sui solidi binari della spiegazione darwiniana: mutazioni casuali e selezione naturale. Forse però lo scenario è un po’ diverso e c’è qualcos’altro di più interessante da sottolineare.
Secondo il genetista Carlo Soave, già ordinario di genetica agraria e ora ordinario di fisiologia vegetale presso l’Università degli Studi di Milano, dietro questi dibattiti si nasconde un equivoco sul quale ormai sarebbe ora di fare chiarezza.
Quando Jones e i suoi interlocutori parlano di evoluzione, si riferiscono esclusivamente ai meccanismi evolutivi basati sulle mutazioni genetiche, dando per implicito che l’evoluzione sia principalmente dovuta a tali mutazioni. È una sorta di riduzionismo, per cui tutto il discorso sull’evoluzione si appiattisce sul solo livello genetico della vicenda. «Così facendo si trascurano altri fattori, che da alcuni anni ormai sono oggetto di ricerche approfondite e che mostrano come, quanto più si sale nella scala evolutiva e massimamente nel caso dell’uomo, l’evoluzione sia essenzialmente di tipo culturale. Quindi, dire che l’evoluzione umana si è fermata significa affermare che l’evoluzione è dovuta solo a fattori genetici; ma ciò non corrisponde alla realtà».
Invece l’evoluzione della specie umana non è affatto finita. «Anzi, l’evoluzione culturale è talmente vistosa e imponente da rendere irrilevante quella dovuta agli altri fattori. Può essere vero che l’evoluzione di matrice genetica stia rallentando, ma non è questo rallentamento a incidere in misura significativa sull’intero fenomeno. Basta considerare il ruolo che sempre più assumono alcune forma di evoluzione e di trasformazione dei viventi, come quelle per imitazione o per apprendimento».
Quindi, non solo i cambiamenti di natura genetica non sarebbero gli unici responsabili, sia dell’aumento che del rallentamento del processo evolutivo; ma l’evoluzione sospinta dalla cultura, nel caso dell’uomo, starebbe crescendo a velocità enorme. E quando si parla di fattori culturale ci si riferisce a tutto ciò che incide sul modo di pensare e quindi di impostare e organizzare la propria vita: quindi alle abitudini alimentari, ai comportamenti sessuali, alla cura del corpo e della salute, ai ritmi quotidiani, alle relazioni interpersonali… «Si pensi a come sono cambiati in pochi decenni, per questi motivi, alcuni parametri importanti della nostra specie: come la durata della vita, l’altezza, la capacità di adattamento all’ambiente. Rispetto a questi elementi, la conoscenza delle mutazioni genetiche non ci dice gran che».
C’è da aggiungere un ulteriore fenomeno, oggetto delle ricerche più avanzate: è la possibile ricaduta dei fattori culturali su quelli genetici. Le trasformazioni appena citate, possono far cambiare le sequenze geniche, secondo meccanismi un tempo ritenuti impraticabili ma oggi sempre più considerati possibili, andando quindi ad incidere, sui tempi lunghi, anche sulla stessa evoluzione genetica.