A soffrirne è circa un miliardo di persone al mondo. Un difetto che spesso nessuno sa di avere. Stiamo parlando della mancata funzione di un enzima, l’aldeide deidrogenasi, di notevole importanza nel corretto metabolismo dell’alcol.
Dopo un bicchiere di vino, le molecole di alcol che arrivano nel nostro fegato subiscono un processo di trasformazione che passa per la formazione di una molecola intermedia chiamata acetaldeide. Questo composto è assai tossico per l’organismo poiché è in grado di danneggiare il nostro DNA, esponendoci di fatto al rischio di tumori e di invecchiamento precoce.
Il passo successivo nel metabolismo dell’alcol vede la trasformazione dell’acetaldeide in acetato, un composto non tossico per il nostro corpo. Quest’ultimo passaggio è a opera dell’enzima aldeide deidrogenasi (ALDH2), di fondamentale importanza nel proteggerci dagli effetti negativi dell’acetaldeide.
Come tutti avranno potuto notare la capacità di “reggere” l’alcol varia da persona a persona. Tanti sono i fattori in gioco, peso corporeo e abitudine a bere ne sono un esempio. Nonostante ciò esistono dei fattori genetici in grado di alterare la propensione a sopportare notevoli quantità di bevande alcoliche.
Circa il 40% della popolazione dell’est-Asia, e molti dei discendenti sparsi per il mondo, sono portatori di una particolare mutazione genetica che produce una forma non attiva dell’enzima ALDH2. In altre parole, sono in grado di produrlo ma in una versione completamente incapace di assolvere la propria funzione.
Questo difetto si traduce in un accumulo di acetaldeide in tutto il corpo anche solo dopo aver bevuto un bicchiere di vino. Gli effetti dell’accumulo sono subito visibili, poiché queste persone presentano tutti quei sintomi tipici dell’ubriachezza come nausea, rossore del volto e accelerazione del battito cardiaco. Oltre ai classici sintomi, le persone affette da questa mutazione genetica rispondono in maniera poco soddisfacente alle terapie a base di nitroglicerina che si usano in caso di angina.
La forma inattiva di ALDH2 infatti riduce notevolmente la quantità di farmaco presente nel corpo. Per queste ragioni il professor Thomas D. Hurley, biochimico presso la Indiana University School of Medicine di Indianapolis (Stati Uniti), è da tempo all’opera con l’obbiettivo di trovare una molecola in grado di attivare ALDH2. I risultati di questi anni di lavoro sono stati pubblicati dalla rivista Nature Structural and Molecular Biology.
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La molecola in questione che potrebbe risolvere ciò si chiama Alda-1. I ricercatori, analizzando attentamente il meccanismo d’azione di questo composto, hanno visto che Alda-1 ha la capacità di ripristinare la funzione dell’enzima ALDH2, normalmente inattivo nelle persone con il difetto genetico.
Nelle persone sane, alcune parti dell’enzima ALDH2 sono disposte in modo tale da formare una sorta di tunnel. In questa zona l’acetaldeide viene legata e trasformata in altre sostanze. Se c’è una mutazione genetica questa specie di galleria non riesce a formarsi e di conseguenza l’enzima non può funzionare. La singolare caratteristica di Alda-1 è quella di essere in grado, legandosi ad ALDH2, di modificarne la struttura in modo da formare quel tunnel così fondamentale nel trasformare il prodotto tossico in acetato.
L’aver stabilito in che modo Alda-1 ripristini la naturale funzione di ALDH2 apre le porte a possibili applicazioni terapeutiche. Prima però sono necessari ulteriori modifiche ad Alda-1 volte a migliorarne l’efficienza. Se queste modifiche, che a oggi sono in corso d’opera, dovessero portare a risultati positivi è lecito aspettarsi l’utilizzo di questa molecola nella cura di quei sintomi che derivano dall’assunzione di alcol.
Non solo, dato che ALDH2 è in grado di convertire anche altre molecole tossiche in prodotti innocui per l’organismo, è plausibile che vengano sintetizzate nuove molecole simili ad Alda-1 in grado di potenziarne l’effetto detossificante.