Io ho sempre avuto una qualche insofferenza per il carnevale, un fastidio che non so se mi viene addirittura dalla mia infanzia: forse mi dava già sui nervi allora, quando mi portavano all’asilo con quell’abitino da fatina o da damigella e avevo sempre la febbre, e non c’era nemmeno quasi bisogno di mettermi il trucco perché ero più rossa di una mela, anche se le foto che ho sono ancora in bianco e nero. Faceva freddo (sembra sempre che, quando ti ricordi, le cose erano di più: più grandi, più belle, più fredde: più tutto, insomma) e sotto il vestitino mi imbottivano con maglioni di lana e mi vedevo come la zia grassa di una fata, mica come la bambolina bella che tutti si sforzavano di dirmi che ero.
Insomma, forse viene addirittura da lì il mio prurito quando si parla del carnevale. Eppure c’erano più dolci in giro per casa: le frittelle me le ricordo, perché non è che ce le facevano sempre; anche i grandi, che magari non navigavano certo nell’oro, in quella settimana lì esageravano un po’. Poi mi ricordo che c’era già mia nonna che diceva allora: “Ma adesso il carnevale a cosa serve? Una volta l’era un bel momento, per noi contadini: svoltava l’anno, cambiava il lavoro, c’era in giro un’aria che sembrava già la primavera. Ma voi qui in paese, adesso, con le fabbriche, cosa capite di quella roba lì?”.
Figurati adesso che non ci sono più neanche le fabbriche! Mia nonna mi stava simpatica: pensare che era più giovane di me adesso e io la vedevo come una vecchia che più vecchia non si può… Pensa se per la mia nipotina qui, adesso, fosse la stessa cosa, se mi vedesse anche lei come io vedevo la mia di nonna. Insomma, con tutte le creme che metto e il parrucchiere e il resto, un po’ mi dispiacerebbe, dai. La mia nipotina qui, è la Jessica: diglielo alla sua mamma che non c’è neanche santa Jessica, che la J non è neanche una roba italiana e cristiana. Ecco, cominceremmo a litigare, proprio adesso che è carnevale e la Jessica c’ha su il suo bel vestitino da fatina elettronica o non so neanch’io come si chiama. Ma lei si divertirà lì nella sfilata con i carri dell’oratorio o è un po’ come me?
Ecco, una volta, lo diceva sempre anche questo la mia nonna, una volta almeno si capiva che cosa c’era a fare il carnevale, non solo per i contadini, ma anche perché la quaresima era la quaresima davvero e qualche volta stava fissa tutto l’anno: la miseria c’era dopo il carnevale, ma anche prima, però. E allora andava bene che per qualche giorno potevi anche fare un po’ di sciambola: mangiare di più, tirare giù qualche moccolo per la strada alle ragazze che se no non si poteva, fare finta anche di essere allegri, insomma.
Perché poi c’è l’altra cosa che mi ha sempre dato fastidio: mettere su le maschere e girare come arlecchini magri o d’artagnan o zorro, allora, e adesso come tanti uomoragno e gormiti e winx, che senso ha? Cosa vuole dire mettersi su una maschera? Che bisogno c’hai di nasconderti? Mi ricordo che una volta a scuola (anche se la Jessica qui crede che quando ero giovane io la scuola non l’avevano ancora inventata) qualcuno ci aveva detto che la maschera era una cosa che aveva a che fare con Dio, che insomma, gli uomini primitivi, non sapendo come fare arrivare questo dio sulla scena, si mettevano una maschera e tenevano un megafono davanti alla bocca. Va bene, ma anche questa roba qui cosa c’entra con il carnevale? E poi adesso le maschere le fanno a novembre, il giorno dei morti: ma come, ti metti su le maschere il giorno dei morti come gli americani, adesso?
La Jessica mi ha detto che addirittura a scuola le hanno fatto fare la festa con su le gocce di sangue sulla faccia e il coltello dentro la testa! Ma la festa non era mica un modo di mettersi assieme, di condividere un po’ il tempo intorno a una cosa bella, forse a una cosa da ricordare che era di tutti e che è anche nostra? Ma come, nelle scuole non ci fanno più fare il presepe e però gli va bene che i bambini fanno gli zombie? Ma che maestre sono, quelle lì?
E allora, cosa ce ne facciamo adesso del carnevale? Cosa continui a mettergli su il fard alla Jessica per andare alla sfilata che poi te non ci vai e tocca a me portarla? Non è che gliela domando proprio alla mia nuora ‘sta cosa, me la tengo lì un po’ in fondo alla gola ‘sta domanda: non voglio mica rovinare la festa alla Jessica, non voglio mica che anche lei vada in giro con il suo vestitino di fata elettronica triste come ci andavo io a quei tempi là. Se non fosse per lei, per quegli occhioni lì che le luccicano (oh Dio, avrà mica la febbre anche lei come me da piccola, eh?) non so se starei qui. Forse è meglio che tiro su il cellulare per farle le foto; forse è per questo che a me il carnevale, che non ho mai sopportato e che non mi sembrava nemmeno che avesse più senso, adesso mi piace un pochino. Prendo per mano la Jessica che si stima come Audrey Hepburn in vacanze romane e vado via verso l’oratorio.
Domani è quaresima, una roba vera che bisognerà spiegare alla Jessica; bisognerà magari dirle che Gesù non è mica venuto a fare superman, che non è mica una fiaba, ma è una cosa vera per essere felici. Una roba vera come adesso i suoi occhioni, il suo sorriso, la sua mano nella mia, la sua contentezza quando incontra la sua amica Nicole — ma non ce n’è più di Marie, di Francesche, di Chiare? Domani è quaresima. Una roba vera come il bene che voglio alla Jessica e adesso quasi anche al carnevale. Se lei è felice.
Sei felice, belé? Fai un bel sorriso, guarda la macchina, sì, insomma, il cellulare. Fai un bel sorriso, che dopo il carnevale c’è la quaresima e la quaresima è l’anticamera della pasqua ed è per quello che a me mi va ancora di sorridere, che anche tu puoi sorridere oggi, domani e per sempre.
Jessica tira fuori il suo sorriso più bello, proprio mentre quelli del carro tirano giù un secchio di coriandoli che non so neanche se la foto è venuta. E a me viene voglia di tirare giù un moccolo come quelli dei giovanotti ai miei tempi. Tanto è carnevale.