Seconda e ultima parte dell’articolo uscito sabato 17 settembre scorso.
“Non possiamo nascondere che il nodo principale del processo educativo dei giovani sia il periodo scuola media/scuola superiore. Vi sono motivi fisiologici intrinseci e pratici estrinseci. L’adolescenza è sicuramente un periodo critico dal punto di vista dello sviluppo corporeo che necessita equilibrio nelle differenti fasi; la concomitanza di eventi di sviluppo fisico ed intellettuale combinata con l’avvento di internet, e quindi l’accesso illimitato ad ogni fonte di informazione (corretta od erronea che sia), ha avuto infatti per molti giovani l’effetto di vera droga d’abuso” afferma Michele Mazzanti, docente ordinario di fisiologia del dipartimento di bioscienze dell’Università degli Studi di Milano.
“La sottovalutazione che i sistemi educativi di molti paesi occidentali — continua ancora Mazzanti — in particolare del nostro, ha perpetuato in questi ultimi 20 anni nella gestione didattica del fenomeno informatico ha prodotto degli effetti devastanti sulla preparazione accademica delle giovani generazioni. Occorre quindi ripensare veramente il percorso formativo dai 10 ai 18 anni. E tutto parte dai docenti che lavorano con questo capitale umano. Non possiamo più permetterci di lasciare l’iniziativa al volontariato di qualche centinaio o migliaio di persone coscienziose ed immettere nel sistema scolastico docenti che ragionino con parametri arcaici”. Mai come ora è dunque necessario un mondo della scuola che possa essere orientato ad accogliere docenti caratterizzati da menti creative, sapienti interpreti del presente anche in termini di evoluzione tecnologica, caratterizzati dalla volontà di coltivare il gusto della ricerca didattica.
L’intero sistema formativo dovrebbe far sì che i giovani studenti incontrassero nuove figure carismatiche, maestri capaci di coltivare in loro la passione per efficaci innovazioni metodologiche nel rispetto della cultura tradizionale, non semplici pratiche. Dunque docenti convinti che sia di reale significato il tempo vissuto con i propri studenti in classe o in laboratorio. Per questo, serve un inserimento di risorse umane non appena esecutrici di compiti organizzativi ed impiegatizi prestabiliti, bensì persone non omologate nel loro operare, che possano essere valorizzate per la specifica peculiarità formativa e professionale, disposte a spendersi per i buoni risultati dei propri studenti.
Occorre dunque continuare a riflettere sulla modalità di selezione e formazione dei nuovi insegnanti. Si ragiona sulla possibile efficacia di una “condivisa rete di professionisti”, relazioni collaborative tra mondo della ricerca didattica a scuola e mondo della ricerca universitaria, oltre gli aspetti di pura organizzazione e gestione burocratica ma nell’ottica di ampia flessibilità operativa. Senza priorità di compiti e contrasti ideologici, ma efficaci e dinamiche collaborazioni tra docenti-ricercatori didattici di scuola e professionisti del mondo accademico. Un interscambio di competenze, una reciproca costruttiva interazione tra tutti coloro che hanno valide idee, esperienze didattiche e di formazione in contesti differenti per attuazione di specifiche attività ed una vera valorizzazione del ruolo docente.
Si prenda atto che attualmente la formazione tradizionale di tutto l’iter formativo, i cui attori agiscono in modo autoreferenziale ed isolato, non è sufficiente per garantire ai giovani del futuro ciò che servirà a livello di crescita umana e professionale, come in parte emerso durante l’ultimo Forum Ambrosetti, “Lo scenario di oggi e domani per le strategie competitive”. Obiettivo che dovrebbe quindi essere da tutti percepito come prioritario: coltivare un bene comune condiviso e finalizzato realmente alla crescita culturale ed umana delle future generazioni, senza interessi di parte e frammentazioni operative, ma reale reciproco coinvolgimento. Alcuni spunti ci arrivano da ambiti geografici vicini e lontani, ad esempio paesi del nord Europa o anche alcuni contesti asiatici, nei quali progresso della società e crescita economica vengono considerati strettamente correlati ad una seria valorizzazione di professionisti come docenti e ricercatori. Professioni molto ambite e di prestigio, alle quali si accede grazie a dure selezioni adeguatamente concertate, ma poi riconosciute dalla società nella loro primaria importanza per il miglioramento della società medesima; non marginali, ma percepite da tutti i contesti sociali come strategiche per il progresso di un paese, alle quali quindi garantire elevata considerazione.
“In questi anni nei risultati relativi al nostro livello universitario si è riscontrato un progressivo impoverimento del materiale umano che arriva agli studi accademici e, ancora peggio, un adeguamento al ribasso dell’offerta formativa” continua Mazzanti. “Le scuole d’élite o le situazioni didattiche di vera eccellenza sono ancora limitate e destinate ad una cerchia esigua di elementi. Il vero problema, prettamente italiano, è quindi rappresentato dal 60 per cento di popolazione che dovrebbe essere destinata a diventare i ‘quadri intermedi’ della società, mentre il 20 per cento viene purtroppo perso nel mancato inserimento professionale per il suo non adeguato sviluppo di abilità intellettive o elevato disinteresse verso ogni aspetto culturale. Ma una società complessa come quella occidentale non dovrebbe permettere di avere realtà con un livello di preparazione intellettuale/tecnologica della maggior parte della popolazione scarso come quello attuale italiano. E’ impensabile un concreto sviluppo del nostro paese se non si interviene per produrre un salto nella fascia intermedia e maggioritaria della popolazione. Per fare questo bisogna sicuramente ripensare il sistema educativo nel senso dell’acquisizione metodologica e non dell’acquisizione mnemonica già dagli stadi immediatamente successivi all’alfabetizzazione di base delle diverse materie che si conclude con le scuole elementari. Siamo già in ritardo di parecchi anni se ci paragoniamo a paesi come la Germania (giusto per rimanere in Europa)” conclude Mazzanti.
“Lo stentoreo tentativo di agganciarsi alla ripresa economica è frutto anche di una scarsa preparazione della popolazione attiva nel mondo del lavoro, che non riesce a razionalizzare gli sforzi e a organizzare un’efficace risposta alle aspettative di un mercato che ha bisogno di sistemi complessi ed organizzati, non tanto di singoli, se pur abilissimi elementi, che sono destinati purtroppo a soccombere. La questione più preoccupante del nostro sistema è che non ci sia un programma a lungo termine condiviso proprio per quello che riguarda il processo educativo e formativo prima ancora di quello economico. Il fatto che si susseguano sussultanti e frammentarie riforme della scuola ne è la dimostrazione più lampante”.
(2 – fine)