La pubblicazione dei tre bandi di concorso per docenti da 63.712 posti è stata accompagnata da dichiarazioni in pompa magna da parte della ministra Giannini. “Segniamo un’altra tappa fondamentale dell’attuazione della Buona Scuola. Rimettere in moto la macchina dei concorsi era essenziale per dare certezza sui tempi delle selezioni a chi vuole entrare in modo stabile nella scuola. Si torna alla Costituzione: avremo un bando ogni tre anni, con cadenza regolare”.
Il Governo ha rivendicato anche le assunzioni di circa 90mila insegnanti della scorsa estate e ribadito che per quanto riguarda le immissioni in ruolo, oltre il concorso per titoli ed esami, non si procederà ad alcuna stabilizzazione eccetto lo scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, fino a che le stesse non risulteranno esaurite (circa 30mila insegnanti). Sono sicuramente numeri importanti che a giudizio della ministra “testimoniano l’impegno di questo governo per il mondo dell’istruzione”.
Parrebbe tutto rose e fiori, ma non è così. Innanzitutto sono annunciati diversi ricorsi al Tar, soprattutto per l’esclusione dei giovani laureati (possono partecipare solo i docenti abilitati) e dei docenti di ruolo (non possono concorrere per altre classi di concorso); altre contestazioni sono annunciate in merito alla ridefinizione delle classi di concorso. Un concorso fortemente voluto che ha ricevuto delle note critiche anche dal parere non vincolante del Cspi quando raccomandava “…di muoversi nella cornice disegnata dalle normative europee … a mo’ di esempio la decisione della Corte di Giustizia Europea che ha giudicato in contrasto con il diritto europeo il rinnovo di contratti a tempo determinato”. Ora, il concorso c’è; si tratta, prescindendo dalle aule di tribunale, di capire se davvero la procedura ipotizzata potrà selezionare i migliori insegnanti per la buona scuola (senza virgolette).
Possono partecipare al concorso per esami e titoli gli aspiranti docenti non di ruolo, in possesso di abilitazione all’insegnamento e/o della specializzazione sui posti di sostegno conseguita entro la data di scadenza prevista dal bando (30 marzo). L’esame consiste in una prova scritta, una pratica per alcune classi di concorso, e una orale. Le prove scritte saranno computerizzate e si svolgeranno nelle medesime giornate previste dal calendario ministeriale garantendo quindi la simultaneità della prova stessa e avranno ad oggetto le medesime tracce.
Anche la Provincia Autonoma di Trento ha adottato la medesima procedura e tempistica nazionale, seppure con qualche modifica, nonostante la forte richiesta dei sindacati di modificare la modalità di assunzione per tutelare i docenti abilitati trentini, in virtù dell’autonomia statutaria. Anche le prove scritte saranno le stesse della procedura nazionale. Secondo la Provincia la contemporaneità della tempistica rispetto al nazionale tende a valorizzare di più i docenti trentini rispetto a chi concorre da fuori, per le conoscenze sul campo di chi “nella scuola trentina insegna”.
L’eventuale scelta di dare precedenza ai docenti abilitati trentini avrebbe esposto la Provincia al rischio praticamente certo dell’impugnativa da parte del governo nazionale e di tutti coloro che sono all’interno e all’esterno del sistema scolastico provinciale, visto che i docenti trentini comunque godono della mobilità nazionale. I docenti trentini risultano comunque avvantaggiati per il riconoscimento fino a 4 punti per 6 anni continuativi di servizio in Trentino e per il fatto che nella prova orale verranno proposte domande anche sul funzionamento del sistema scolastico provinciale.
La Provincia di Bolzano, invece, ha scelto una strada diversa: ha bandito un concorso per complessivi 7 posti afferenti le graduatorie prive di abilitati e ha intenzione di stabilizzare tutti i gli insegnanti abilitati Tfa o Pas inseriti nelle graduatorie provinciali. Vedremo cosa succederà. Probabilmente non riuscirà ad andare fino in fondo!
Affermare che questo concorso consentirà di allocare le migliore risorse umane all’interno della scuola in virtù di un sedicente processo meritocratico, non mi sembra possa corrispondere al vero. A me sembra un sistema concorsuale ancora di tipo teorico e nozionistico, che sicuramente non rappresenta il non plus ultra per selezionare una figura professionale particolarmente competente. La dimensione plurale della professione docente non può limitarsi a scrivere definizioni sui “campi di forza”, sulla “poetica di Leopardi” o sulla “filosofia analitica inglese”, ma dev’essere valutata “in azione”, nelle sue capacità relazionali, esemplificative, di mediazione e coinvolgimento. Un docente va valutato e quindi arruolato in virtù di quello che è in grado di fare in azione con gli studenti, nella realtà scolastica in cui opera.
Qualcosa in questa direzione si intravede nella prova orale. Forse si poteva fare di più! A memoria ricordo che l’allora ministro Berlinguer (governo di centro-sinistra) non esitò a stigmatizzare i limiti e le storture delle procedure concorsuali per il reclutamento degli insegnanti, tanto che eliminò i concorsi per istituire le Ssis (scuola di specializzazione all’insegnamento secondario) a numero programmato. Queste, senza mai capire perché, hanno avuto la durata di una breve stagione. Sono stati istituiti i Tfa e i Pas, percorsi abilitanti all’insegnamento ma che non danno accesso alla stabilizzazione. Mi chiedo se non era possibile un’altra strada per i tanti precari che da anni lavorano nella scuola e che attraverso l’abilitazione Tfa o Pas hanno intravisto una possibilità di stabilizzazione, coltivando aspettative che con la procedura concorsuale in essere potrebbero essere frustrate.
Vista così, la situazione mi sembra un po’ più articolata e complessa rispetto alle diffuse querelle pro e contro il concorso, alimentate da polemiche e contrapposizioni politico-sindacali. Lasciamo ai sindacati il loro ruolo, chiediamo alla politica qualche sforzo in più. Personalmente credo che siano possibili strade alternative a quelle del concorso così come strutturato. Tra le ipotesi anche quella di un corso-concorso per gli abilitati che certifichi sul campo, ovvero con un periodo della durata di più mesi di verifica a scuola, le competenze di chi insegna arrivando a stabilizzare chi dimostra di essere capace e non solo chi in una prova concorsuale riesce ad impressionare positivamente una commissione dissertando prevalentemente di conoscenze di tipo nozionistico.