Dunque il MIUR ha perso la sua battaglia con il MEF e le norme sulla scuola previste nel Decreto semplificazioni sono state derubricate a sperimentazioni e redazione di “linee guida” che il MIUR dovrà per lo più concertare proprio con il MEF, ovvero con chi ha dimostrato di non volere quelle innovazioni. Con il rischio quindi di non avere nessun organico dell’autonomia, nessun organico delle reti di scuole, nessuna assegnazione dei fondi direttamente alle scuole e nessuna abolizione dei vincoli di destinazione di questi fondi.
Come fare in modo che la sconfitta in battaglia non determini la sconfitta nella guerra? Facendo dell’avversario un alleato, ovvero comprendendone le ragioni (“se non puoi sconfiggere il nemico, fattelo amico” recita la saggezza popolare). Faccio due esempi sull’organico detto “funzionale” (che giustamente Profumo ha ribattezzato “dell’autonomia” e “delle reti”: due funzioni diverse e complementari). Il primo sui numeri, il secondo sulle modalità di assegnazione. La vulgata propagandata per lo più dai sindacati è che sia tutta una questione quantitativa: c’è l’organico attuale – che arriva alle scuole con i metodi attuali (classi di concorso molto rigide, organizzazione del lavoro altrettanto rigida, selezione del personale con metodi borbonici) – al quale aggiungere un tot per cento (10%?) che la scuola utilizza con flessibilità. Lo schema del primo decreto era ambiguo su questo punto e la Ragioneria molto semplicemente non s’è fidata.
Ma era obbligatorio procedere così? Solo se si pensa che i vantaggi derivanti dall’avere un organico di questo tipo siano esclusivamente numerici. Il vantaggio per il sistema derivante dall’introduzione dell’organico dell’autonomia e delle reti è invece soprattutto qualitativo perché scardina i vecchi vincoli: una migliore e più efficiente organizzazione è peraltro un argomento più efficace anche nei confronti del MEF. Parliamo di cambiamenti che preparano il terreno per la vera riforma di cui la scuola ha bisogno in questo ambito: flessibilizzare le classi di concorso; riformare l’organizzazione e la governance interna alle scuole; rivedere coerentemente stato giuridico e contratto nazionale, formazione selezione e assunzione dei docenti. Per i docenti, in particolare quelli precari, i vantaggi deriverebbero dal superamento della distinzione tra organico di fatto e di diritto (con una accelerazione della stabilizzazione dei precari stessi), per gli studenti e le loro famiglie il vantaggio deriverebbe dalla stabilizzazione del personale: il provvedimento parla(va) di organico triennale e in più l’organico di rete coprirebbe anche le supplenze brevi.
E così veniamo al secondo esempio. Se l’approccio del MIUR aveva un difetto era quello di “saltare” il livello regionale: soldi e organici venivano assegnati direttamente alle scuole. Capisco le motivazioni che stanno dietro a questa decisione, ma forse l’introduzione del filtro regionale tranquillizzerebbe la Ragioneria Generale. In Conferenza delle Regioni si è trovato un accordo sui nuovi criteri di riparto degli organici sui livelli regionali e se è vero che alcune Regioni (soprattutto del Sud) si sono poi tirate indietro, è anche vero che un provvedimento dello Stato di portata storica come quello dell’assegnazione ad esse degli organici costringerebbe a un ripensamento. Le Regioni – lo prevede il nuovo decreto – andranno coinvolte nella stesura delle suddette linee guida: perché non sfidarle a raccogliere pienamente la sfida? Applicheremmo pienamente la riforma del Titolo V e daremmo al MEF un interlocutore più definito di quanto non lo possano essere migliaia di autonomie scolastiche.
Perché tutto questo funzioni serve infine una terza condizione. È in corso una riorganizzazione dell’offerta formativa del primo ciclo, voluta dal precedente governo: un dimensionamento scolastico che prevede ci siano solo istituti comprensivi e tutti con almeno 1000 studenti. Non entro nel merito, ma basti al lettore sapere che alcune Regioni hanno fatto i compiti a casa e altre no. Introdurre l’organico di rete e dell’autonomia in un sistema profondamente squilibrato non otterrebbe i risultati sperati, con l’aggravante che le regioni che hanno fatto i compiti si ritroverebbero penalizzate rispetto a quelle che non li hanno fatti. Un meccanismo perverso e un disincentivo del buon governo che andrebbe evitato; anche perché rischierebbe di vanificare la tenuta complessiva di tutto il disegno e vedrebbe anche qui l’opposizione del MEF.
Il suggerimento è quello di procedere con selettività: si stabilisce il principio che gli organici si assegnano con le nuove modalità, ma solo alle Regioni in regola con le procedure di dimensionamento. Siccome anche quelle che ancora non lo sono si sono impegnate a terminare il processo entro tre anni, vorrà dire che avranno un ulteriore incentivo a procedere. E in più lo Stato procederebbe con le carote per i meritevoli piuttosto che con la minaccia (che spesso rimane solo tale) del bastone per gli inadempienti. Anche questa sarebbe una bella innovazione, in questo caso nel rapporto tra lo Stato e le sue Regioni.