IL PIANTO DEL BEBÉ È UNA FORMA DI COMUNICAZIONE
Il pianto è l’unico mezzo di comunicazione che ha un bebé, quindi non bisogna inibirlo. Le lacrime possono essere legate alla fame, ad un malessere o alla necessità di essere cambiato. Piangere serve al neonato anche per attirare l’attenzione della madre quando sente il bisogno di uno suo contatto fisico e di un rapporto ancor più diretto. I genitori reagiscono al pianto del loro neonato con ansia e angoscia: prenderlo in braccio è un gesto istintivo. «È questo il suo primo contatto con il mondo circostante», ha spiegato Paola Venuti, direttore del dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive di Trento. In occasione dell’International Infant Cry Workshop, appuntamento dedicato allo studio del pianto in una prospettiva interdisciplinare, ha evidenziato anche l’importanza della risposta dei genitori alle lacrime dei loro figli: «Influenzerà profondamente il suo futuro sviluppo neurale e, quindi, emotivo e anche sociale». I neonati non piangono per un capriccio, ma per necessità diverse. La reazione alle urla e alle lacrime è comunque analoga in tutti i popoli: lo hanno dimostrato diversi studi.
IL PIANTO HA UN RUOLO CHIAVE NELLO SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ
Le risposte comportamentali al pianto sono comuni: il primo istinto è prendere in braccio il bimbo che piange, perché questo è un metodo efficace per farlo smettere. «L’intervento scatena in pochi istanti un effetto calmante e di rilassamento attraverso un insieme coordinato di meccanismi neurali, motori e cardiaci», ha spiegato il ricercatore Gianluca Esposito a La Stampa. Ma rispondere al pianto del bebé prendendolo in braccio non è sufficiente: innanzitutto bisogna saperlo fare adeguatamente, visto che è un periodo cruciale nello sviluppo psicomotorio. Il pianto ha un ruolo chiave nello sviluppo della personalità del bimbo, con effetti duraturi fino all’età adulta. Ai genitori andrebbero allora forniti gli strumenti per interpretare correttamente il comportamento dei loro figli, perché l’istinto può ingannare, come nel caso dei bambini con pianto atipico. «Il bambino down ha un pianto con frequenze più basse e questo viene percepito come meno urgente e meno doloroso di quello dei bambini con sviluppo tipico. E piange anche meno, con il risultato controproducente che riceverà meno stimolazioni», ha aggiunto Venuti. Alcuni ricercatori, guidati da Maria Luisa Scattoni del dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze dell’Istituto Superiore di Sanità, stanno provando a identificare precocemente nel pianto i possibili segnali dell’autismo.