Lo scorso 10 luglio ha fatto notizia il battesimo del mare della Rainbow Warrior (RW) III avvenuto presso i prestigiosi cantieri navali della Fassmer di Brema. Un gigante da crociera realizzato nella fabbrica delle navi di lusso della Germania.
Il proprietario è il movimento ecologista Greenpeace e la data del 10 luglio è stata scelta in quanto ricorrenza sia del varo della RW II nel 1989 che, in particolare, dell’affondamento nel 1985 della RW I da parte dei sottomarini della marina francese nei mari della Nuova Zelanda.
Il marchio di Greenpeace e le sue battaglie ecologiche sono ormai fin troppo propagandate in Italia come nel mondo. Non altrettanto conosciuta è la storia iniziale di questo movimento, la sua vera nascita e il debutto avventuroso dei pionieri dell’ambientalismo. Si conosce infatti ben poco di quanto accadde nei primi dieci anni di questa organizzazione, prima che, agli inizi degli anni ’80, la componente nordeuropea ne assumesse il comando e ne prendesse i diritti. Soprattutto, è totalmente sottaciuto il pensiero, di allora e di oggi, di colui che avviò la prima iniziativa di protesta e che radunò attorno a sé il primo nucleo che prese poi il nome di Greenpeace e che, nei suoi dieci anni di mandato, permise al movimento di crescere e lo fece conoscere al mondo intero.
È recentemente uscito in Italia un volume che colma fortunatamente questa grave lacuna: si tratta allo stesso tempo di un’avventurosa autobiografia e di un saggio denso di informazioni e chiarimenti scientifici sui principali temi ambientali del nostro pianeta. Finalmente incontriamo un ambientalista che non è necessariamente contro qualcuno e qualcosa, ma innanzitutto uno scienziato che si appassiona per qualcuno e per qualcosa. Se ne sentiva il bisogno. È quasi un inno al lavoro umano quello che Moore, oggi presidente dell’associazione Greenspirit, compie scrivendo con generosità e allegrezza e riservandosi il compito di indicare “un percorso verso un futuro sostenibile sulla nostra bella terra”. Il titolo originale è “Confession of a Greenpeace dropout”, ma, nella versione italiana pubblicata nel maggio scorso da Dalai Editore e tradotta da Giuseppe Grillo, il titolo, davvero calzante è : “L’ambientalista ragionevole”.
L’avventura di Moore inizia nel 1971, quando gli Stati Uniti vivono la guerra nel Vietnam e la tensione con l’Unione Sovietica raggiunge punte estreme. In casa propria gli americani vedono nascere i movimenti hippy e la generazione beat. Inizia in quel periodo anche la battaglia ecologista per la salvezza della terra. Patrick a quell’epoca aveva ventiquattro anni. Canadese, nato nel dopoguerra, aveva passato l’infanzia e la giovinezza in un villaggio di pescatori e taglialegna sul Pacifico, nell’estremità nord dell’isola di Vancouver. Padre e madre erano figli di pionieri che avevano deciso di svolgere la propria attività in quella landa desolata, ricchissima di foreste e prossima al mare.
“La cosa più sorprendente – racconta Moore – era assistere al rinnovamento continuo della foresta laddove veniva tagliata, senza il minimo contributo dell’uomo. La natura si rigenera quasi a dispetto della perturbazione umana, e torna rapidamente alla sua condizione originaria”. Se il padre, grande lavoratore, gli insegnò l’arte del comando, la madre, come dice egli stesso, gli insegnò a pensare. All’Università non può che iscriversi e seguire l’indirizzo di Scienze naturali, laureandosi a pieni voti. Vince una Borsa di studi negli Stati Uniti, gira alcune università, ma ovunque regna tra i suoi coetanei la paura e la rabbia per le continue partenze dei giovani di leva per il Vietnam.
Torna dunque nella sue terre canadesi della Columbia Britannica, dove svolge un dottorato in Diritto ambientale, Ecologia forestale, Biologia marina e Scienza del suolo. Si afferma come studioso di rango e si coinvolge per la prima volta con le problematiche ambientali in una vertenza sullo smaltimento degli scarti minerari in un profondo fiordo della zona. Da quel momento, senza mai fermarsi, per quarant’anni Patrick Moore diventa uno dei leader assoluti del movimento ambientalista, facendosi promotore e attivista di molte iniziative di sensibilizzazione e di protesta.
Il volume riprende tutta la vicenda dagli esordi, quando dopo avere identificato in un isola del nord dell’Alaska la sede degli esperimenti militari americani, il 15 settembre 1971 Patrick convince altri dieci giovani a salpare per documentare i test atomici nell’arcipelago delle Aleutiane. I giovani sono determinati; a uno di loro, Bill Darnell, si deve in quel giorno il battesimo del movimento col nome di Greenpeace. Accade così che nei giorni successivi, mentre sfidano le onde e il gelo, una nave dei guardacoste li intercetta e li arresta, ma uno dell’equipaggio gli scrive a nome di tutti che “se non fosse per gli obblighi militari, saremmo con voi”. I militari vengono consegnati subito in caserma, ma la notizia sfugge, e la sera stessa passa in prima serata sul canale televisivo di CSB. “Bingo. Greenpeace era ormai al centro dell’attenzione pubblica”.
La successiva missione di Greenpeace si svolge in Polinesia, sull’atollo di Mururoa, dove i francesi stavano per avviare esperimenti atomici analoghi. Partono successivamente per la missione “Salviamo le balene” e si concentrano poi sui massacri delle foche baby nel circolo polare. La fama di Greenpeace si diffonde rapidamente e vengono cercati anche dai politici e dagli attori famosi. La popolarità raggiunge l’apice quando Moore viene arrestato per essersi seduto su un cucciolo di foca per salvarlo dai cacciatori. Ma in tutto questo fermento la gestione dell’associazione non è seguita a dovere, nascono parecchie nuove sedi autonome e quelle principali sono ormai sparse per gli Stati Uniti e in Europa.
Il leader della sede di Londra, Dave Mc Taggart, pone la questione finanziaria e della proprietà del marchio. Infatti, mentre alcune sedi si sono arricchite grazie a una capace azione di promozione e marketing, il gruppo originario di Vancouver ha ancora debiti per il noleggio delle barche usate nelle missioni nel Pacifico. La situazione si fa complessa. Moore, per salvare l’unità dei fondatori, cede allora il copyright e la sede principale viene portata in Europa, ad Amsterdam. L’organizzazione finisce così nelle mani di Mc Taggart. “Egli era un brillante stratega politico e un pensatore machiavellico. In compenso non aveva conoscenze scientifiche”. Nel corso degli anni egli permise che “Greenpeace voltasse le spalle alla scienza e alla logica, adottando scelte politiche basate sulla paura e sulle emozioni più che sui fatti e sulla ragione”.
Di fatto, la fase nuova di Greenpeace nasce a Londra alla fine degli anni ‘70 con il varo della prima nave dell’Associazione, la già citata Rainbow Warrior, che da Londra fece rotta verso Amsterdam. Anche Patrick Moore e Bob Hunter, dopo un incredibile viaggio dagli Stati Uniti, fecero in tempo a salirvi a bordo. Iniziò la guerra contro le super petroliere del mare. Ma, soprattutto, cominciò una nuova storia dell’ecologismo e delle battaglie ambientali, certamente diversa da come lo aveva immaginato il competente dottor Moore. Mc Taggart comprende che il movimento può crescere in Europa, in particolare in Germania, Austria e Svizzera, poiché “queste nazioni sono più sensibili a una posizioni romantica della natura e allo stesso tempo più inclini ad un approccio radicale alla politica”.
Pur nella diversità di vedute, Moore rimase in Greenpeace per altri tre anni con l’incarico di Direttore internazionale, ma senza mai smettere di pensare innanzitutto a un ideale di sviluppo sostenibile per la terra, attraverso analisi dettagliate e documentate. C’è una premessa che preme all’autore: le teorie catastrofiste non sono soltanto pericolose e automortificanti, sono anche semplicemente false. “È da oltre tre miliardi d’anni che la terra sopporta la vita, né la vita è sul punto di scomparire. In primavera sui rami continuano a spuntare le foglie, nei nostri giardini sbocciano i bulbi floreali, gli uccelli migratori tornano dal loro rifugio invernale”.
Con un linguaggio accessibile e con concetti chiari, l’autore affronta le grandi questioni che appassionano e dividono l’opinione pubblica: dalla difesa della silvicoltura alla promozione della produzione di energia con fonte idroelettrica e nucleare, dall’auto elettrica allo sviluppo delle scienze genetiche per l’agricoltura, dalla descrizione dell’importanza dell’acquicoltura al ridimensionamento dell’ossessione del cambiamento climatico.
Vale la pena leggere questo saggio e conoscere la regola di fondo con cui si muove Moore, cioè la sua appassionata lealtà verso il metodo: preferire i fatti al principio di correlazione, spesso abusato e improbabile. Correlazione significa che due o più fatti sembrano collegati, magari in un rapporto di causa ed effetto, ma potrebbero anche non esserlo: “gli attivisti e i giornalisti trovano conveniente lasciar intendere che correlazione e casualità sono la stessa cosa”.
Una vita avventurosa, quella di Patrick Moore, con un continuo messaggio di speranza e di amore per la natura e per l’uomo. Come ripete più volte, infatti, il libro è un omaggio a coloro che lavorano nei campi e nelle foreste, in mare e nel sottosuolo. Non si notano mai storture o forzature. La stessa divergenza con gli attuali leader di Greenpeace non appare né rivendicativa, né di rifiuto: “Mi piacerebbe credere che sia stata Greenpeace ad allontanarsi da me, anziché l’inverso. Ma anche questo non è del tutto vero”. Il giudizio finale appare comunque netto: “Nella mia evoluzione io sono divenuto un ambientalista ragionevole. Greenpeace, invece, man mano che ha adottato programmi ostili alla scienza, all’economia e in ultima analisi all’umanità, è divenuta sempre più irragionevole”.
Dalla lettura del libro si evidenzia un’idea di impegno con l’ambiente geniale, comprovato dall’esperienza e dal confronto. Ne esce anche la figura di un grande personaggio. Sicuramente denso di amore alla ragione e alla libertà. È un uomo pieno di domanda sul mistero della natura, anche se, a mio avviso, occorre correggere il concetto di religiosità così come egli lo riduce. Verrebbe da augurargli di incontrare nella sua vita, ancora piena di curiosità, qualcuno di eccezionale, come è capitato a me, nei miei ben più miseri viaggi.