Non è un numero magico. Quello che è risuonato oggi a Parigi durante il Media briefing dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea) è il valore più accurato dell’età dell’universo che la scienza può darci: 13,82 miliardi di anni, calcolato con una precisione dello 0.4%. È il più eclatante di una serie di risultati raggiunti da PLANCK, l’osservatorio spaziale dedicato allo studio della radiazione cosmica di fondo: il satellite è stato lanciato il 14 maggio 2009, in una missione dell’ESA con l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) e l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) nel ruolo di protagonisti. A Parigi gli scienziati hanno presentato la mappa del fondo cosmico a microonde realizzata con un’accuratezza impensabile e hanno comunicato le prime conclusioni delle numerose ricerche condotte a partire dai dati arrivati da PLANCK.
Subito dopo il briefing, ilsussidiario.net ha raggiunto Marco Bersanelli, uno dei principali responsabili della missione e Instrument Scientist di uno dei due strumenti di PLANCK, LFI Low Frequency Instrument.
Quali erano gli obiettivi della missione PLANCK, quali le domande e in che senso erano cruciali per la nostra conoscenza della storia dell’universo?
Direi tre tipi di obiettivi. Primo, sfruttare quel tesoro di informazione che è il fondo cosmico di microonde per misurare con alta precisione i parametri cosmologici fondamentali. Per intenderci, si tratta di misurare una manciata di parametri, soltanto sei valori, che stanno alla base del nostro modello standard della cosmologia e che finora spiegano bene tutte le osservazioni ottenute. Sei numeri dai quali dipendono le grandi linee della storia dell’universo, la sua composizione, la sua geometria. Questo fu l’obiettivo centrale fin dall’inizio, quando oltre 20 anni fa concepimmo la missione PLANCK, insieme a George Smoot e Reno Mandolesi e altri, all’indomani della scoperta delle anisotropie del fondo cosmico da parte del satellite COBE.
In secondo luogo, volevamo verificare l’attendibilità dell’ipotesi dell’inflazione, secondo cui l’universo avrebbe attraversato un’espansione esponenziale nelle primissime frazioni di secondo dopo l’inizio (parliamo di dieci alla meno trentacinque secondi, in soffio inconcepibile!). Le modalità con cui verificare questo obiettivo con le misure di PLANCK si sono in parte chiarite a progetto in corso, via via che la teoria progrediva e noi stessi ci siamo resi conto delle potenzialità dei nostri strumenti (abbiamo anche apportato alcune modifiche in corso d’opera, come il potenziamento della polarizzazione, per ottimizzare lo strumento in questo senso). Infine bisogna ricordare che PLANCK, grazie alla sua sensibilità senza precedenti, va a sondare aspetti inesplorati del cosmo, una “terra incognita”: è quindi possibile trovare qualcosa che non ti aspetti. Insomma il terzo tipo di obiettivo è semplicemente l’imprevisto, scoprire qualcosa che nessuno immaginava.
Nella ricostruzione della storia dell’universo, fino a che età possiamo risalire grazie alle osservazioni di strumenti come i vostri? Riusciremo a “intravedere” il Big Bang?
PLANCK misura il fondo cosmico di microonde, la prima luce che si è propagata liberamente nello spazio poco dopo la nascita dell’universo, circa 14 miliardi di anni fa. Ma c’è un lasso di tempo ben definito tra l’inizio vero e proprio, il cosiddetto Big Bang, e il momento in cui questa luce primordiale si è liberata: circa 380 mila anni. Il fondo di microonde ci arriva da un ultimo confine direttamente osservabile, un orizzonte spazio-temporale, oltre il quale l’universo è opaco alla luce. Ciò che sta oltre è invisibile. PLANCK ci mostra direttamente l’universo in quell’istante, quando aveva un’età di 380 mila anni (lo 0,003% dell’età attuale): sarebbe come risalire all’età di poche settimane di vita rispetto a un adulto di 50 anni. Questo è un limite intrinseco: anche se PLANCK fosse mille volte, un milione di volte più potente, non potrebbe superare questo limite. Sarebbe come cercare di vedere meglio attraverso la nebbia usando una lente o un microscopio: niente da fare!
Ma oltre a essere un limite quel confine è anche il più grande tesoro di conoscenza che ci dà la natura: grazie si suoi straordinari strumenti PLANCK ha costruito la mappa di quel confine con estrema precisione e ci mostra le piccole fluttuazioni di densità che a quell’epoca agitavano il plasma primordiale – un po’ come onde sulla superficie del mare. Analizzando in dettaglio la statistica di quelle fluttuazioni, possiamo estrapolare molte proprietà di quel mare cosmico primordiale. È come osservare delle increspature su una superficie liquida: a seconda di come si presentano possiamo dedurre la densità del liquido, la profondità, il grado di uniformità, le correnti interne ecc. La nostra superficie è il confine dell’universo osservabile e dai suoi dettagli possiamo dedurre gli ingredienti del cosmo, la sua geometria e risalire a fenomeni accaduti nelle prime frazioni di secondo dopo l’inizio del tempo.
Veniamo ai risultati veri e propri: come si possono sintetizzare in termini non specialistici?
Un misto di strepitose conferme e notevoli sorprese. Innanzitutto PLANCK ha confermato in modo spettacolare la validità del modello standard e ha fornito valori molto più precisi dei parametri cosmici fondamentali. Troviamo che la materia “ordinaria” (della quale sono fatte le stelle, le galassie, e tutto il mondo conosciuto, compresi noi stessi) costituisce solo il 4,9% del contenuto di materia e energia dell’universo. La presenza della materia oscura non solo è confermata, ma “pesa” più del previsto: è il 26,8% del totale, quasi un quinto in più di quanto si pensava. Il resto è il contributo dell’energia oscura, la misteriosa forza responsabile dell’accelerazione cosmica. Inoltre troviamo che la famosa costante di Hubble, che misura il tasso di espansione dell’universo, ha un valore significativamente inferiore a quello dedotto da osservazioni astronomiche. Tutto ciò fornisce anche una data di nascita ben precisa per il nostro universo: 13,82 miliardi di anni, con la pazzesca precisione dello 0.4%.
Lo scenario che emerge è in accordo con quanto previsto dall’inflazione. Ma i teorici negli ultimi anni hanno proposto una vasta schiera di possibili modi in cui il processo dell’inflazione potrebbe essere accaduto. PLANCK ha consentito di definire meglio quali scenari sono compatibili con la realtà osservata e ha escluso una vasta gamma di modelli esotici. Anche se siamo ancora all’inizio, è un notevole passo avanti nella comprensione dell’universo nei suoi primissimi istanti.
E le sorprese?
In questo quadro di grande regolarità, le mappe di PLANCK hanno anche rivelato alcune sorprese. Indizi non appariscenti, quasi impercettibili, ma che potrebbero essere sintomo di qualcosa di più profondo. Uno dei pilastri della cosmologia moderna è il cosiddetto principio cosmologico, ovvero l’assunto che su grande scala l’universo è in sostanza ovunque uguale a se stesso. Ma PLANCK ha rivelato qualche crepa in questa assunzione fondamentale. Ad esempio si osserva una lieve ma ben misurabile asimmetria tra un emisfero e l’altro del cielo. Altro elemento sorprendente è la presenza di un’ampia regione “fredda” la cui rilevanza non rientra nella statistica generale. Inoltre le fluttuazioni su grandi scale angolari (che corrispondono alle massime dimensioni sondabili dell’universo), paragonate alle fluttuazioni su scale più piccole, dimostrano un’ampiezza inferiore al previsto. Parte di queste anomalie erano già state notate dal satellite WMAP, predecessore di PLANCK, ma si era pensato a qualche effetto strumentale spurio ed erano state quasi del tutto ignorate. PLANCK invece ha indicato con chiarezza che si tratta di fenomeni reali che richiedono una spiegazione credibile, che però al momento manca.
È soddisfatto per quanto è emerso dall’analisi dei dati? E quali domande restano o vengono aperte alla luce dei risultati presentati oggi?
È una grande soddisfazione. E insieme trepidazione, perché l’avventura non è finita, anzi. È straordinario vedere in diretta l’universo neonato con una definizione senza precedenti. È un po’ come sbarcare per la prima volta su un continente ignoto. Le mappe di PLANCK portano i segni inequivocabili di processi che sono avvenuti all’inizio della storia cosmica e ci consentono di sondare le primissime frazione di secondo dopo l’inizio. Si consolida e si precisa il modello standard. L’universo iniziale era di una semplicità disarmante. Possiamo riassumere le sue fattezze globali in pochi tratti molto ben delineati. E, come spesso succede nella storia della scienza, non si fa in tempo a consolidare un passo che già urgono nuove domande. PLANCK non ci ha risparmiato anomalie e stranezze che nessuno si aspettava la cui natura al momento sfugge a qualsiasi spiegazione.
Ma questi risultati riguardano solo i primi 15 mesi si missione, abbiamo ancora molti dati nel cassetto. Oltretutto uno dei due strumenti, quello a guida italiana, è tuttora in funzione (pensiamo che possa “vivere” fino alla prossima estate). Nel 2014, tra un anno circa, è prevista la nuova release di risultati più completi. Questi comprenderanno anche risultati sulla polarizzazione del fondo cosmico, una capacità di PLANCK non inclusa nei risultati che pubblichiamo oggi e che ci consentirà di studiare l’inflazione in un modo più diretto e quantitativo.
Come descriverebbe l’esperienza vissuta, personalmente e insieme agli altri scienziati, in questi anni, da quando il progetto è stato avviato?
In effetti oltre che una sfida tecnologica e scientifica PLANCK è anche un’incredibile avventura umana. Vent’anni, oltre 400 scienziati, un unico obiettivo comune. Ho in mente ora soprattutto quelli del mio gruppo all’Università di Milano. Dico ogni tanto che c’è una cosa più importante che costruire un esperimento ed è che costruendo quell’esperimento noi costruiamo noi stessi. Questo è accaduto per me con PLANCK in tutti questi anni; e sta ancora accadendo, grazie a persone straordinarie, maestri più avanti di me, così come giovani ricercatori bravissimi (che qui in Italia meriterebbero molto di più!). Non vorrei dare l’idea di un mondo idilliaco. In 20 anni ci sono stati anche momenti di fatica, di delusione e scoraggiamento. Ma è proprio questo il fatto: non ha prevalso lo scoraggiamento. Ci siamo aiutati, in qualche modo. Da solo uno non tiene così a lungo. Nella difficoltà c’è sempre qualcuno che ha più chiaro lo scopo, magari qualcuno più giovane di te, uno studente, che ti mostra che ne vale la pena, che ti ricorda quale privilegio hai a fare quello che stai facendo. Consapevoli del limite di quello che siamo e di quel poco che riusciamo a capire. Perché comunque ti senti sempre all’inizio. E come dicevo prima siamo ancora al lavoro, anzi adesso più che mai. L’avventura non è ancora conclusa.
(Mario Gargantini)