È uscito da poche settimane un libro che è molto importante leggere. Il contenuto è un’intervista realizzata da Monica Mondo a George Cottier, novantatreenne domenicano svizzero, già teologo della Casa Pontificia a partire dal 1989, segretario generale della Commissione Teologica Internazionale fino a Benedetto XVI e cardinale dal 2003. Il motivo per cui leggerlo è molto semplice: questo libro fa bene alla Chiesa, fa bene a chi non crede e aiuta tutti coloro che in questo momento si sentono nella confusione più totale per la stucchevole contrapposizione che si è venuta a creare fra le tifoserie che ruotano attorno alla partita del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.
Il merito di questo “servizio alla verità” è dell’autrice: Monica Mondo si reca da Cottier non per strappare lo scoop o per “tirarlo per la giacchetta” delle sue posizioni precostituite, ma come una figlia alla ricerca delle parole sagge di un padre e di un maestro, senza paura di porre tutte le questioni che l’attualità impone e con la franchezza di chi non ha da perdere nulla, ma vuole solo imparare.
È in questo modo che nasce quello che a ragione il titolo del libro definisce un “selfie” sulla Chiesa di oggi, sulle sue inquietudini e le sue speranze, sui suoi drammi e le sue gioie. Senza la pretesa di raccontare tutta la ricchezza del libro, si può dire che il cardinale gioca il suo ragionamento complessivo attorno a tre parole significative: libertà, tradizione e comunicazione. Sono parole che tutti conoscono bene, ma che — nella mentalità comune — sono state impoverite della loro verità, ridotte a definizioni da vocabolario più che a termini che, in qualche modo, esprimono la vita. Cottier, al contrario, ne recupera tutta la pregnanza esistenziale e torna a legarle al vissuto di ciascuno costringendo il lettore ad assumere verso di esse un atteggiamento più maturo e responsabile.
Accade con la libertà, che il teologo domenicano lega inscindibilmente all’esperienza del peccato, mostrandoci come in ogni ambito dell’esistenza ognuno di noi è costretto a fare i conti non solo con le proprie capacità e i propri errori, ma anche con la promessa di un Altro — di Dio — che il nostro cuore riconosce e che continuamente può accogliere o respingere, offrendoci così un’interpretazione del peccato al di fuori di ogni moralismo, radicata dentro un rapporto e una relazione senza la quale è impossibile ammettere l’esistenza stessa della fragilità e del perdono.
Lo fa anche quando connette la tradizione al discernimento, invitandoci a diffidare delle consuetudini che — benché centenarie — sono intrinsecamente unite ad una certa visione temporale della Chiesa e della sua missione nel mondo, e lo fa, infine, con la comunicazione, per la quale si appella alla pratica cristiana della vigilanza, così fondamentale in un’epoca in cui ogni nostra singola parola o respiro può essere immediatamente riportato dall’altra parte del mondo alla mercé di ogni interpretazione o stortura.
Insomma, il cardinale invita al realismo e alla responsabilità, invita a guardare la vita per quello che è, senza dimenticare tutti quei fattori che la rendono più comprensibile e umana. Per questo l’insigne teologo non si vergogna di parlare del Demonio come di una presenza reale, del popolo come una voce da ascoltare e da capire e della bellezza come la strada per una fede autentica e pronta testimoniare l’amore ricevuto dinnanzi ai grandi cambiamenti che attendono la storia dei prossimi anni.
La vecchiaia, infine, si mostra nell’intervistato come una sorta di virtù che lo spinge a guardare con lungimiranza a questioni come l’omosessualità, la famiglia, la vita, senza rinunciare a dire le parole plurisecolari della Chiesa, ma senza abdicare mai alla dolcezza dei termini, alla forza del vissuto di ciascuno e alle speranze, talvolta intrise di dolore, che molti attacchi e rivendicazioni nascondono.
Si esce dalla lettura di questo libro con la chiarezza di che cosa vuol dire “essere cattolici”, con la consapevolezza che il cristianesimo non può essere un’ideologia e con la certezza che il Concilio ha riportato la storia — l’economia direbbero i Padri della Chiesa — dentro l’orizzonte della riflessione teologica della Chiesa. Ciascuno potrà trovare da questo volumetto una parola o una frase per cui essere grato, nell’intima convinzione di trovarsi di fronte al testamento di uno degli ultimi grandi del novecento. Con Cottier, e più in assoluto con Ratzinger, si chiude davvero un’epoca per la storia della Chiesa. Un’epoca che forse un giorno gli storici avranno il coraggio di chiamare dei “padri rifondatori”, uomini che non hanno avuto paura di ripetere parole millenarie ad un’umanità sofferente, pastori che non hanno voluto manovrare la Verità come dei padroni, ma servirla come degli autorevoli testimoni per riproporla, sotto la guida di veri e propri “fari” come Giovanni XXIII e Paolo VI, al cuore dell’uomo che, lungo i crocicchi delle strade aspetta solo di essere ancora una volta chiamato a far festa. Quella festa che Monica Mondo ci regala con l’autenticità di ha ancora voglia, e ancora passione, di essere cristiana, donna e madre all’inizio di questo tormentato XXI secolo.
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Monica Mondo, George Cottier, “Selfie. Dialogo sulla Chiesa con il teologo di tre papi”, Cantagalli, Siena 2014