Secondo i dati recentemente diffusi dall’Ocse uno studente su 5 abbandona la scuola prima di aver terminato le superiori.
Leggendo questa notizia ho risentito l’eco del grido di don Milani, un grido rimasto in gran parte inascoltato, quando diceva che “il problema della scuola sono i ragazzi che perde”. Che uno su cinque non riesca a terminare il percorso di studi è un dato che non può lasciare tranquilli, né può rimanere una statistica: urgono domande e, possibilmente, precise risposte che rendano ragione di un fallimento in controtendenza a quella che avrebbe dovuto essere la scuola di tutti.
Ma la cosa ancor più preoccupante è che il 20 per cento degli studenti abbandoni proprio mentre si sono moltiplicate le strategie di apprendimento e la scienza pedagogica ha inventato le vie più sofisticate per catturare l’attenzione dei giovani. Accade invece il contrario, e la scuola fa i conti con una fragilità profonda, con un limite che “rovina” la sua fisionomia.
Il fatto è che la scuola è lo spazio dell’imperfezione. In una società che ha fatto fuori la politica perché viziosa e corrotta, e dove tutto finisce nelle mani dei tecnici così che ridisegnino il vivere civile secondo regole ben definite applicando le quali tutto può procedere in modo perfetto, la scuola denuncia una fragilità endemica; per quante energie si vogliano impegnare per costruire un sistema che funzioni in ogni suo aspetto, c’è uno spazio umano che rimane imperfetto. Si può anche creare un sistema fiscale così sofisticato che nessuno più evada le tasse, l’economia può persino diventare così controllata da impedire che nessuno più faccia operazioni irrazionali mettendo a rischio il bene comune, tutto si può meccanizzare come ha denunciato Chaplin in Tempi Moderni; tutto tranne la scuola, dove il limite del fattore umano continua ad emergere – se più il sistema si perfeziona più perde studenti.
Perché è imperfetta, viva la scuola viva! Perché perde uno studente su cinque, viva la scuola, e non perché lo perde ma perché questa sua sconfitta urge a una riconquista delle sue motivazioni più profonde. Meno male che dentro il sistema disegnato dai tecnici vi è una lacerazione, quei ragazzi che la scuola perde! Sì, perché ognuno di questi studenti denuncia esattamente questo: l’inconsistenza di un’educazione fatta di regole e procedure. C’è bisogno di qualcosa di più, c’è bisogno di qualcuno che prenda sul serio i ragazzi che la scuola perde, qualcuno che sappia snidare la positività che questi studenti portano con sé.
I dati dell’Ocse rappresentano una sfida quanto mai attuale, è la benedizione di una imperfezione, la sollecitazione a guardare l’umano che vibra dentro un’aula scolastica, fino a rilanciarne tutta la positività.
C’è poco da stracciarsi le vesti di fronte ai dati pur negativi dell’Ocse. C’è solo da chiedersi dove trarre quello sguardo di simpatia totale di cui hanno bisogno i miei cinque studenti per trovare se stessi e – con questo – nuovamente il fascino del vivere e dello studiare.