Continua la battaglia sindacale contro la legge 107/2015 sulla Buona Scuola, in quanto avrebbe tradotto in prescrizioni normative il documento governativo denominato, appunto, “Buona Scuola”.
Come noto, infatti, alla vigilia dell’approvazione della legge (per la precisione il 5 maggio 2015) la Triplice indisse uno sciopero generale contro l’allora disegno di legge in approvazione in Parlamento. La ritrovata unità sindacale (dopo ben sette anni di divisioni sindacali) scaturiva soprattutto in opposizione ai poteri attribuiti al dirigente scolastico. A rileggere le motivazioni dello sciopero dichiarate dalle diverse sigle sindacali se ne ricava, infatti, che il bersaglio principale delle critiche erano i poteri di direzione e di organizzazione degli istituti scolastici e del corpo docente che l’allora ddl attribuiva ai dirigenti scolastici, sottraendoli per un verso agli organi collegiali della scuola (collegio docenti e consiglio di istituto) e, per altro verso alla contrattazione sindacale nonché al potere direttivo delle circolari ministeriali.
Di qui si paventavano rischi di incostituzionalità della riforma per violazione della libertà dell’insegnamento garantita dall’articolo 33 della Costituzione, per un verso, e dell’imparzialità nella gestione delle pubbliche amministrazioni tutelata dall’articolo 97, per altro verso.
In particolare, quella che veniva definita l'”aziendalizzazione” delle modalità di gestione degli istituti scolastici e la “precarizzazione” del personale docente sottoposto al rischio di cambiare ogni triennio istituto (seppur in seno allo stesso bacino territoriale subregionale) avrebbero esposto al pericolo di una gestione clientelare o quantomeno arbitraria da parte dei dirigenti scolastici, che avrebbe finito per condizionare la stessa autonomia didattica dei docenti, costretti a “guadagnarsi” la conferma nell’organico al termine del triennio e anche l’attribuzione di premi e incentivi economici.
Dopo dieci mesi da quello sciopero, il fronte sindacale ha scelto per continuare la lotta l’arena politica del referendum. Il 17 marzo scorso, infatti, Cgil, Gilda, Cobas, Unicobas, Lip, Uds hanno depositato presso l’Ufficio centrale della Corte di cassazione alcuni quesiti referendari su cui iniziare successivamente la raccolta firme.
I quesiti depositati riguardano:
L’abrogazione delle norme sul potere discrezionale del dirigente scolastico di scegliere e confermare i docenti nella sede;
L’abrogazione delle norme sul potere del dirigente scolastico di scegliere i docenti da premiare economicamente;
-l’abrogazione delle norme sul comitato di valutazione;
L’abrogazione delle norme sull’obbligo di un numero fisso di ore di alternanza scuola-lavoro;
L’abrogazione delle norme sul finanziamento privato alle scuole.
Va subito appuntato che questa volta sul terreno dei referendum non si è ricostituita l’unità sindacale: Cisl e Uil sono rimaste fuori dall’iniziativa.
Inoltre al momento pare abbandonato anche il fronte della battaglia sull’incostituzionalità della legge. Le motivazioni addotte, infatti, sono assai deboli.
Più volte, infatti, la Corte di cassazione ha avuto modo di specificare che il ruolo direttivo del dirigente scolastico sul personale non lede, in astratto, la libertà di cui all’art. 33, comma 1, Cost. Mentre il rilievo di incostituzionalità riguardante l’art. 97 è palesemente infondato, poiché poggia su una chiara presunzione che, invece, richiederebbe di essere provata di volta in volta e, se ritenuta veritiera, potrebbe dar luogo ad azioni civili (comportamento antisindacale) più che ad eccezioni di costituzionalità.
Insomma, compreso che il versante “tecnico” dell’incostituzionalità è poco fruttuoso, si è scelto quello “politico” del referendum.
Proviamo a capire cosa potrà succedere.
Raccolte le 500mila firme (cosa abbastanza probabile) ci sarà il vaglio sia della Corte di cassazione (sulla legittimità dei quesiti e sul numero di firme), sia quello della Corte costituzionale sulla compatibilità del referendum rispetto ai vincoli costituzionali.
Qui potrebbero esserci delle sorprese per i comitati promotori del referendum.
I quesiti, infatti, se andassero al voto e se ottenessero il favore dei votanti farebbero cadere quasi tutta la legge: sia tutte le norme relative all’organico dell’autonomia, sia quelle relative alla programmazione triennale. Proprio questa considerazione potrebbe indurre la Corte a non ritenere ammissibile il referendum, perché i quesiti non sono chiari: dicono di voler abolire i poteri del Ds e, invece, di fatto tendono a travolgere l’intera legge.
La Corte costituzionale, infatti, ha da sempre preteso che i quesiti referendari (cioè la domanda che si pone all’elettore) siano chiari e omogenei, cioè vertano su un unico oggetto e siano facilmente comprensibili. Ciò in quanto l’elettore ha un solo voto (si o no, salvo che non vada a votare…) e dunque non si può chiedere di rispondere con un solo voto a più domande.
Abrogare i poteri del Ds vuol dire travolgere altre parti della legge, ma forse proprio questo è lo scopo “politico” dei comitati referendari.
Il motivo della ripresa della lotta contro la 107 è quasi certamente dovuto alla celerità con cui il governo sta procedendo all’attuazione delle deleghe previste dalla legge. Attuazione che renderebbe oggettivamente più complicata la richiesta referendaria. Inoltre sempre il governo ha dato il via affinché gli Usr procedano formalmente alla costituzione degli ambiti territoriali, primo passaggio per costituire il sistema dell’attribuzione dei docenti alle scuole.
In sostanza il fronte sindacale ha chiaramente percepito che questa volta il governo fa sul serio e come ha proceduto, nonostante le proteste di mancato coinvolgimento sindacale, all’approvazione della legge, allo stesso modo sta procedendo alla sua attuazione attraverso la costituzione di tavoli tecnici e non con la tecnica, da sempre utilizzata nella scuola, della contrattazione con il sindacato.
Insomma, come un anno fa, il motivo della lotta sindacale è sempre lo stesso: la pretesa che ogni provvedimento sulla scuola venga “contrattato” con il sindacato, in una logica consociativa che pretende il diritto di veto su tutto.
Chi scrive è fermamente convinta dell’utilità di una logica sindacale “autentica”, volta alla difesa dei diritti e di un dibattito alto sulla funzione della scuola. Un sindacato che gioca tutto sul diritto di veto fa una battaglia di retroguardia, degna del peggior consociativismo politico.
Vi è da augurarsi, allora, che la “campagna” referendaria costituisca il terreno di dibattito di questo tema, ancora una volta centrale nella vita dell’istituzione scolastica.