Indubbiamente la nuova legge sulla governance della scuola così come è stata approvata dalla VII Commissione della Camera in sede legislativa, con l’accordo di tutte le forze politiche che sostengono il Governo (Pd, Pdl e Udc), presenta alcuni elementi che destano delusione. Il primo deriva dal fatto che il testo Aprea originario, presentato nel 2008, titolava: “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti” oggi divenuto, a quattro anni dalla sua presentazione: “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche statali”.
La differenza non è poca e giustifica la delusione. Cassata dal “nonché” in poi la riforma dello stato giuridico dei docenti, in virtù degli accordi con il Pd, che pure nell’ultima campagna elettorale convergeva su questo tema, ma a cui la Cgil, suo sindacato di riferimento, non avrebbe mai dato il consenso ad innovare l’organizzazione del lavoro degli insegnanti in modo coerente con la l’autonomia scolastica e a cui si oppone, a prescindere, da sempre.
Se c’è qualcosa che può essere considerato responsabile di affossare l’autonomia è proprio lo stralcio del nuovo stato giuridico degli insegnanti.
Inoltre, a molti forse è sfuggito, le nuove norme per l’autogoverno, nel testo originario, dovevano riguardare tutte le istituzioni scolastiche del sistema pubblico, vale a dire le scuole statali e paritarie, in linea con la legge di parità attualmente in vigore. Ma l’Udc avrebbe voluto che si aggiungesse quello “statali”, eliminando così dalla riforma della governance le scuole paritarie. Inopportunamente, a nostro avviso, perché questo fatto non andrà certo nella direzione di alleggerire quel clima fortemente ideologico “anti-paritarie” presente nel nostro paese.
Fatte queste precisazioni e considerato il fatto che la scuola attendeva dal 1997, anno della legge dell’autonomia scolastica, che l’assetto dei suoi organi collegiali si svincolasse dal dirigismo statale del Testo unico, non si può non plaudere al fatto che si sia arrivati ad un testo comunque condiviso e che, nonostante i detrattori rituali, rimette comunque al centro le scuole.
Infatti, noi riteniamo che dotarsi autonomamente di Statuti, come prevede ormai la Costituzione, con il compito di “regolare l’istituzione e la composizione degli organi interni, nonché le forme e le modalità di partecipazione della comunità scolastica”, i cui criteri generali sono stati indicati nel testo anche troppo minuziosamente, possa essere un motivo in più per rafforzare in chi vi opera quel senso di identità e di appartenenza, che avrà inevitabili ricadute positive sul clima e quindi sull’efficacia dell’istituzione stessa.
Con buona pace dell’ala sindacal-conservatrice che minaccia sfracelli d’ogni genere e scuole autoreferenziali, ma in realtà non dà, o non vuole dare, alcuna fiducia alla capacità di autodeterminazione degli insegnanti. Il tabù ideologico, quello che spaventa, è l’allentamento del controllo dello Stato attraverso una definizione dall’alto dell’organizzazione delle comunità scolastiche a favore della potestà delle scuole di definire la propria organizzazione da impostare su principi, lo ripeto, anche troppo minuziosamente definiti nella legge, ma curvata sui propri specifici bisogni.
Ovviamente il modello organizzativo che non si vuole abbandonare comporta anche un riflesso sulla percezione del ruolo professionale degli insegnanti: da impiegati dello Stato in una amministrazione centralista a professionisti in una scuola autonoma. Ed è noto che il sindacalismo confederale è nato per rappresentare categorie operaie ed impiegatizie e non professionisti. E così il cerchio si chiude.
E per sostenere meglio il tutto e tentare di affossare la legge, si fa credere agli studenti che rimarranno privi della loro consueta assemblea mensile, perché ovviamente gli articoli del Testo unico che ora la prevedono verranno abrogati, glissando però sul fatto, ribadito più volte nel ddl, che la partecipazione e la rappresentanza della componente studentesca sono tra i principi ispiratori delle Statuto e dei relativi Regolamenti. Il risultato? incredibile: studenti in lotta per riconquistare spazi di democrazia perduti!
Circa 13 anni fa Luigi Berlinguer, ispiratore e padre dell’autonomia, sosteneva che autonomia e valutazione sono inscindibili perché l’autonomia scolastica non può esistere senza valutazione, altrimenti diventa autoreferenzialità, deregulation selvaggia.
Noi riteniamo che con questa legge il Parlamento darà un aiuto a quel processo di accettazione e condivisione della valutazione di sistema che nel nostro Paese stenta a decollare perché il processo di valutazione che porta alla qualità, che l’Europa giustamente chiede, è prima di tutto un processo culturale che va accompagnato.
Ma, per progredire verso il radicamento di una cultura della valutazione, che possiamo definire come “quel sistema di valori, di norme, di comportamenti e di consolidate abitudini attraverso cui si manifesta un’organizzazione scolastica e da cui derivano i suoi concreti risultati operativi” e quindi per gettare le premesse per una sua attuazione a regime, questa deve essere condivisa. Quindi riteniamo un elemento qualificante l’istituzione nella legge, tra gli Organi, del Nucleo di autovalutazione del funzionamento dell’istituto, che dà gambe a quanto già contenuto nel Regolamento ministeriale sul sistema nazionale di valutazione e che affida alle scuole la responsabilità di autovalutarsi in raccordo con l’Invalsi. L’aspetto significativo verso il superamento di quell’autoreferenzialità radicata nelle scuole è che il Nucleo di autovalutazione dovrà predisporre un rapporto annuale che sarà reso pubblico e che sarà assunto come riferimento per l’elaborazione del piano dell’offerta formativa e del programma annuale delle attività, nonché della valutazione esterna della scuola realizzata secondo le modalità che saranno previste dallo sviluppo del sistema nazionale di valutazione.
Se questo provvedimento di legge completerà rapidamente il suo iter entro questa legislatura con il passaggio al Senato, riteniamo si sarà fatto un primo, consistente passo verso l’attuazione a regime della valutazione delle scuole, ma soprattutto della sua condivisione, dato che l’autovalutazione, cioè la riflessione della comunità scolastica su se stessa, ne è il pre-requisito essenziale.