È un’impresa senz’altro non facile quella di riassumere l’eredità di Eugenio Corecco, vescovo di Lugano, che è morto esattamente 20 anni fa, il 1° marzo 1995. Senz’altro, il radicamento profondo della fede nel singolo, come orientamento e punto di riferimento in una società sempre più pluralizzata, è sempre stato tra i suoi impegni più significativi. Inoltre era cosciente che si trattasse di un compito educativo da rivolgere soprattutto ai giovani, per non «perderli tutti», come era solito dire ai suoi collaboratori. Concentrare un istante la riflessione sulle implicazioni etico-sociali di tale messaggio, può costituire una prospettiva su Corecco certamente meno considerata rispetto ad altre dimensioni della sua eredità spirituale, che dimostra una prospettiva ricca di implicazioni attuali.
Infatti, Corecco percepiva con grande preoccupazione la «spaccatura tra la fede e la vita di tutti i giorni» e la conseguente e preoccupante «perdita del senso religioso»: queste due sfide sono poste da lui addirittura allo stesso livello delle minacce che le eresie hanno costituito per la Chiesa primitiva. Tali due fenomeni attuali costituiscono non soltanto un disagio per ogni cristiano, ma anche un grave rischio per l’identità della fede cristiana stessa; e infatti Corecco pensava alle eresie dei primi secoli non perché l’arianesimo e altre dottrine avessero negato il cristianesimo, ma perché cambiavano dal di dentro la comprensione dei momenti centrali e più importanti di esso. E temeva che al cristianesimo post-moderno potesse succedere qualcosa con effetti analoghi, anche se la minaccia — oggi — non consiste in eresie, ma nei cambiamenti profondi nel rapporto tra cristianesimo e mondo.
Quali sono questi momenti centrali dell’identità cristiana che rischiano di essere svuotati dal di dentro? Come nel cristianesimo primitivo, così anche per le sfide di oggi, si tratta sempre di quei momenti che Corecco definisce come i «due assi dottrinali convergenti» della cultura cristiana: ossia la creazione e l’incarnazione. Che cosa significano questi due pilastri della cultura cristiana per Corecco?
La creazione indica che «il richiamo alle cose del cielo passa attraverso la piena partecipazione alle realtà della terra». Siccome il mondo è la creazione divina, esso non può essere sorvolato in un processo di interiorizzazione e concentrazione del cristianesimo che pensa di poter realizzare la sua opera salvifica anche a prescindere del contesto sociale. In altre parole, un cristianesimo che vuole conservare il suo nucleo dottrinale e spirituale senza il rivolgimento al mondo non può ritenersi autentico, e costituisce già un certo tradimento dei suoi fondamenti.
Ma non soltanto nell’impegno lavorativo e politico nel mondo, anche nell’ambito più artistico ed architettonico l’autocomprensione del cristianesimo dimostra segni di crisi profonda nella nostra cultura contemporanea. Questo secondo lato della cultura artistica ed architettonica viene infatti associato da Corecco alla dimensione dell’incarnazione, la quale assegna al cristianesimo il compito di essere presente nella società in modo raffigurativo e attraverso immagini — a differenza della religione ebraica o musulmana che conoscono entrambe un divieto radicale di ogni immagine che tenti di raffigurare Dio.
I due pilastri del cristianesimo, quindi, creazione ed incarnazione, portano il cristiano ad un confronto autentico con il mondo postmoderno, non a distanziarsi da esso. Questo confronto può riuscire soltanto se la dimensione religiosa è essenziale alla persona e non è soltanto una sorta di “abito”. Un cristianesimo dottrinale, pertanto, deve diventare sempre di più un cristianesimo formativo: in altre parole, un cristianesimo inteso non come un “sapere del sapere”, esercitato con un’autorità magisteriale, ma come orientamento nella ricerca del vero humanum che ognuno deve comprendere come compito personale ed esistenziale. Questo contributo essenziale, insisteva Corecco, viene realizzato tramite l’insegnamento religioso nelle scuole e nelle facoltà teologiche.
Solo in questo modo si lascia ridefinire il rapporto che il cristianesimo ha in relazione alla cultura di oggi: non come ritorno ad un’antica egemonia contro il pluralismo attuale, ma neanche tramite l’assunzione di una posizione passiva, che costringe a subire tale pluralismo; bensì tramite l’affermazione positiva di esso nella sua dimensione esistenziale. Corecco ha capito, come pochi altri, che questa operazione non può funzionare senza un lavoro di riflessione, analisi e confronto intellettuale.
Caratteristici risultano pertanto i suoi interventi sia a favore dell’insegnamento religioso a scuola sia per l’insegnamento della teologia accademica nello spirito del Concilio Vaticano II. Nel 1993 fonda la Facoltà di Teologia di Lugano come prima istituzione accademica ticinese che ispirerà, tre anni più tardi, l’istituzione dell’Università della Svizzera Italiana. Questa facoltà dovrebbe realizzare, secondo l’intenzione del suo fondatore, l’idea non solo medievale ma ancora humboldtiana della possibilità di una visione unificante del sapere, cioè uno sguardo su di esso nella sua complessità che non lo pregiudichi scientificamente, ma capace di collocare il sapere al suo posto giusto in riferimento alle dimensioni di creazione (cioè della realizzazione della corporeità e libertà umana) e di incarnazione (delle dimensioni di arte, architettura e dell’intero ambito artistico). Solo in questo contesto il sapere può maturare, secondo Corecco, «un’autentica coscienza critica della società» — e precisamente in ciò consiste il servizio più autentico del cristianesimo alla società, perfettamente comunicabile in un mondo postmoderno.
Risulta del tutto evidente, ad uno sguardo complessivo sugli interventi e sulle riflessioni di Corecco, che il superamento attivo della spaccatura tra fede e vita, con le rispettive ripercussioni sull’etica pubblica e sulla cultura, costituisca parte dell’identità cristiana stessa: l’essenza della Chiesa, ribadisce Corecco, è appunto movimento e non staticità istituzionale. Ma proprio per questo motivo sarebbe sbagliato considerare la Chiesa in una sorta di “funzione di servizio” alla società: il superamento della dicotomia tra fede e vita, tra i valori cristiani e la società postmoderna, non deve essere frainteso come un compito politico. Invece esso non può che essere il lato esterno dell’autenticità vissuta del cristianesimo stesso, cioè del ritrovamento delle sue dimensioni di creazione ed incarnazione. L’autentica esperienza religiosa e la forza politica e sociale della coscienza cristiana, e quindi la sua anima culturale, sono per Corecco aspetti reciprocamente inseparabili. Ritrovare questa sintesi è, dunque, uno degli appelli più urgenti che Corecco rivolge ai cristiani del nuovo secolo.