Non entro nel merito della pretestuosa polemica sull’insegnamento nella scuola pubblica statale e non statale, e sulla libertà di scelta educativa scolastica, polemica che ha infastidito un po’ tutti in queste ultime settimane: mi permetto solo di evidenziare sia l’incapacità politica di sottrarsi alla logica dello scontro fine a se stesso, sia il disinteresse interpretativo delle esigenze dei cittadini che inficia in modo grave la visione dei fatti nella loro realtà. Significativa in tal senso una sottolineatura di Maria Grazia Colombo, presidente dell’Agesc, alla prima conferenza sulla scuola promossa dal Pd lombardo: “stiamo diventando, o forse lo siamo già, un popolo stanco, vecchio (non solo anagraficamente) che ha perso interesse sociale, culturale, umano. Occorre riprendere più seriamente la questione della libertà di scelta educativa, per permettere ai genitori di scegliere l’offerta formativa migliore per i propri figli”. E così Giacomo Zagardo, sul sussidiario: “occorre mettere in grado il nostro sistema scolastico di fronteggiare meglio la sfida educativa, aprendo maggiormente alle forze della società civile, riconoscendo loro un ruolo e una parità reale”. Il problema, quindi, è di ordine culturale, prima ancora che istituzionale ed economico.
Nel nostro Paese esiste una richiesta precisa che viene da quanti intendono esercitare il loro diritto di scegliere, per la propria istruzione e per quella dei loro figli, una scuola pubblica non statale paritaria. La richiesta di una “parità autentica” – cioè di pari dignità e di equipollenza economica – è una questione che toccando la scuola fa riferimento al fondamento stesso della società: la famiglia. Ne consegue che i beneficiari della “parità” non sono gli enti gestori: sono le famiglie. Riconoscerle compiutamente è una questione di giustizia sociale e di rispetto dei diritti di ognuno e di tutti.
Il sostegno economico per coloro che frequentano scuole non statali paritarie va ritenuto doveroso, derivando, per lo Stato – come sostenuto dall’ex ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni sin dal 2003 in una sua proposta di legge – l’onere finanziario, per assicurare al cittadino la gratuità dell’obbligo e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, dall’inalienabile diritto costituzionale che egli ha per il fatto stesso di essere nato e non per il fatto di frequentare o meno la scuola dello Stato.
In quest’ottica va ricordato l’art. 30 della Costituzione laddove, con chiarezza estrema, ai genitori viene ampiamente riconosciuto il dovere-diritto di educare e istruire i propri figli, e il conseguente art. 31 nel quale la Repubblica è chiamata a garantirne con misure economiche e altre provvidenze l’adempimento dei relativi compiti. Così come non va trascurato l’art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, quella solidarietà che deve considerare, come previsto dall’art. 3 della Costituzione, a tutti i cittadini pari dignità sociale e uguaglianza dinnanzi alla legge.
Tutti sappiamo che il “tema della scuola” è come una cassa di risonanza dei problemi più vivi e scottanti riguardanti la concezione dell’uomo, della convivenza sociale e del fatto educativo. Orbene, la libertà di educazione e la libertà di insegnamento sono ancorate sui seguenti principi portanti: la persona umana è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni; la famiglia è, per diritto e dovere naturali, il “luogo primario dell’educazione” e quindi soggetto sociale che va riconosciuto e sostenuto; lo Stato deriva tutto il suo valore, la sua autorità e i suoi limiti, nell’operare per il bene della persona, cioè nell’assicurare a tutti, tutte quelle condizioni sociali che consentano e favoriscano negli esseri umani il loro sviluppo integrale.
Una simile concezione dello Stato trova riscontro anche in alcune conquiste di convivenza democratica: il principio di sussidiarietà che regola l’azione dei pubblici poteri, la quale deve avere carattere di orientamento, di stimolo, di supplenza e di integrazione, sostenendo in modo suppletivo le membra del corpo sociale; e l’autonomia – sancita dalla legge 59/1997, art. 21 e dal DPR 275/1999 – che riconosce alle istituzioni scolastiche l’espressione di autonomia tese alla realizzazione dell’offerta formativa, promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi del sistema di istruzione.
Da questi elementi, sostenuti da una ricca legislazione internazionale, va configurata, indipendentemente dalla titolarità gestionale (statale o non statale), la presenza di una scuola che i genitori, non impediti da ostacoli legislativi o economici, possono scegliere, e contribuire a costruire, perché vi venga continuato il discorso educativo iniziato in famiglia.
Nel solco di queste premesse si colloca la Legge sulla parità scolastica (L. 62/2000), la quale, anche in ragione dei requisiti richiesti alle scuole paritarie, le considera, al pari della cosiddetta scuola pubblica (statale), elemento costitutivo di un organico sistema volto all’attuazione dell’istruzione e della formazione (sino ai 18 anni), costituzionalmente assunto dallo Stato nei confronti del cittadino (cfr. art. 34 Cost.). Una conclusione, questa, esplicitamente avvalorata anche dalla Corte costituzionale, la quale, in sede di giudizio di ammissibilità del referendum sulla Legge 62/2000, ha infatti riconosciuto, alle scuole paritarie che si conformino ai prescritti standard qualitativi, la funzione di “concorrere, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la legge definisce obiettivo prioritario della Repubblica, vale a dire l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita” (Sentenza n. 42 del 2003).
È agevole concludere, quindi, che la stessa qualificazione legislativa di scuole paritarie, per quegli istituti che soddisfano le condizioni previste dalla legge, giustifica la legittima aspettativa non solo di ottenere leggi che assicurino – come dice la Costituzione – “piena parità”, ma anche condizioni economiche che assicurino l’utenza nel loro diritto di scelta, in ossequio, tra l’altro, anche al precetto costituzionale che riserva ai loro alunni/studenti un trattamento scolastico “equipollente a quello degli alunni di scuole statali” (art. 33, comma quarto, Cost.).
Va pure detto che una sollecitazione in questa direzione è venuta dalla valorizzazione del principio di sussidiarietà. Esso ha assunto (Titolo V Cost.) grande significato, sia in senso verticale, nei rapporti tra enti territoriali di governo (art. 118 Cost. e, prima ancora, art. 4, comma 3, lettera a, della legge 59/1997, nonché a livello comunitario – art. 5 Trattato CE nella versione consolidata), sia in senso orizzontale, nei rapporti tra gruppi sociali e in quello tra pubblico e privato.
Di tutto ciò è espressione l’ultimo comma dell’art. 118, il quale prevede che le varie entità costitutive della Repubblica (Stato, Regione, Comuni, Province) favoriscano l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Quel processo favorente l’iniziativa dei cittadini – e quindi, nel nostro caso, promozione e scelta di istituzioni scolastiche – sancito dallo stesso Decreto del Presidente della Repubblica dell’8 marzo 1999, n. 275 – Decreto di regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, che all’art. 2 detta: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.
L’ispirazione pluralista del nostro ordinamento costituzionale, coniugandosi con il principio di sussidiarietà e attuando compiutamente l’autonomia, non solo prende in considerazione le scuole non facenti capo allo Stato o, in generale, alla pubblica amministrazione, ma vede anche in esse lo strumento per attuare principi e valori fondamentali, nell’ambito dei quali non può non assumere rilievo anche l’esplicita declinazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. All’interno di quanto detto, va dunque considerato l’assetto della Legge 62/2000, il cui tratto caratteristico è quello di delineare, come risulta espressamente dall’art. 1, comma 3, un “servizio pubblico” al cui svolgimento concorrono, appunto, scuole statali e scuole paritarie. Dal che deriva anche l’esigenza di interventi legislativi di carattere finanziario che pongano in essere il sostegno del servizio.
Da qui la doverosa messa a disposizione delle famiglie del potere di disporre del finanziamento pubblico (cioè con il denaro dei contribuenti) del sistema di istruzione. Se infatti l’istruzione è, oltre che diritto individuale, anche “bene pubblico”, discendono alcune conseguenze: è compito pubblico (cioè dello Stato-comunità, della Repubblica) rendere effettivo per tutti su un piano di parità tale diritto; non è possibile – anzi, illegittimo alla luce della Costituzione – limitare tale libertà introducendo ragioni di disparità economica; è compito dello Stato-comunità, in quanto l’istruzione è bene pubblico, sostenerne economicamente il conseguimento; va attivata una modalità equitativa per realizzare sia la libertà di scelta sia il sostegno economico.
In uno “Stato di diritto” – quale il nostro afferma di essere – compito dei pubblici poteri è quello di assicurare le condizioni perché ciascun soggetto – singolo o associato – possa accedere agli strumenti giuridici, economici e sociali necessari per rendere effettivo l’esercizio dei suoi diritti su un piano di imparzialità e di uguaglianza, senza alcuna imposizione discriminatoria basata su condizioni e scelte personali e sociali. Quindi, uno “Stato di diritto” è tale se assicura a tutti i cittadini libertà nell’esercizio di tali diritti. Purtroppo, per quanto riguarda la scuola, nel nostro Paese non è così!
L’attenzione deve essere tesa al conseguimento di una maggiore efficacia ed efficienza di tutto il sistema nazionale di istruzione e non deve essere frutto di alchimie emarginanti istituzioni pubbliche diversamente gestite e ugualmente orientate, come quelle statali, al conseguimento del “bene comune istruzione”. Solo un sistema pubblico di istruzione che, superando lo status quo, fondi sulla libertà e sulla sussidiarietà forme di pluralismo culturale ed educativo, è – come sostiene l’Agesc – la risposta alle esigenze di istruzione e formazione dei giovani di oggi: questo sistema si costruisce mediante l’attuazione di una reale autonomia per le scuole, di una concreta libertà di scelta scolastica delle famiglie e di una autentica valorizzazione professionale degli insegnanti.