L’ultimo canto della Commedia si apre con la preghiera alla Vergine, il Canzoniere si chiude con la canzone Vergine bella. Sebbene la critica dissuada dal cercare nessi espliciti tra i due testi, è evidente che alcune espressioni si richiamino per analogia e per opposizione.
Vergine madre, figlia del tuo figlio: così, per bocca di san Bernardo, la solenne intonazione teologica della preghiera dantesca.
Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sì, che ‘n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole: è ancora un’apostrofe, di timbro lirico e soggettivo, più articolata del potente ossimoro dantesco.
umile e alta, più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio: Dante in due versi condensa il Magnificat e la profezia dell’incarnazione contenuta nel libro della Genesi.
Vergine santa d’ogni gratia piena,
che per vera et altissima humiltate…
tre dolci et cari nomi ai in te raccolti,
madre, figliuola et sposa.
E, poco sopra:
sola tu fosti electa,
Vergine benedetta,
che ‘l pianto d’Eva in allegrezza torni.
L’espressione di Petrarca, già nella terza e quarta stanza della sua canzone, è eco di una movenza di Donna del Paradiso di Jacopone: Figlio, pate e marito, a testimoniare la persistenza di un’unica dottrina e devozione, pur in contesti poetici e storici diversi.
Prosegue Dante:
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore
per lo cui caldo nell’etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
E Petrarca:
Vergine pura, d’ogni parte intera,
del tuo parto gentil figliuola et madre,
ch’allumi questa vita, et l’altra adorni,
per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,
o fenestra del ciel lucente altera,
venne a salvarne in su li extremi giorni.
Il mistero dell’Incarnazione è indicato da Dante con il simbolo ardente del fuoco, da Petrarca con quello della luce, entrambi di ascendenza biblica.
La vicenda umana dei due poeti ha conosciuto, come quella di ogni uomo, l’amarezza del fatto che la diritta via era smarrita. Ecco come prega Petrarca:
Con le ginocchia de la mente inchine,
prego che sia mia scorta,
et la mia torta via drizzi a buon fine.
Per lui il buon fine è la pace della stabilità in mezzo ai marosi della vita, l’ancora di una stella nella solitudine:
Vergine chiara et stabile in eterno,
di questo tempestoso mare stella,
d’ogni fedel nocchier fidata guida,
pon’ mente in che terribile procella
i’ mi ritrovo sol, senza governo.
La Madonna è per Petrarca cosa gentile. L’espressione richiama la Vita nuova, in cui Beatrice è denominata cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare. La Madonna dunque, non Laura, è per Petrarca il segno della salvezza.
Dante ottiene per mezzo di Maria la grazia di vedere Dio e, pur nella consapevolezza di non poter ridire l’ineffabile, si dedica all’unico compito che nell’esilio gli è permesso, quello di riferire al mondo, con la voce della poesia, ciò di cui è stato testimone.
Per Petrarca il compito non è quello di colui che ha la vita davanti, ma di chi avverte il peso dell’eternità avvicinarsi:
Il dì s’appressa, et non pote esser lunge,
sì corre il tempo et vola,
Vergine unica et sola,
e ‘l cor or conscientia or morte punge.
Egli sente vicina la morte e da ferito testimone del suo travaglio personale e di quello del suo tempo, come ultimo atto della propria dignità di uomo, trova il coraggio di chiedere a Cristo, verace homo et verace Dio, che ne accolga lo spirto ultimo in pace.