Nel 1869 un giovane scozzese immigrato negli Stati Uniti compì un lungo cammino attraverso la regione che oggi risulta compresa nello Yosemite National Park. Quarant’anni più tardi il diario di quel viaggio fu pubblicato con il titolo “La mia prima estate sulla Sierra” (edito in Italia da Vivalda), che rappresenta una delle pubblicazioni di contenuto naturalistico più diffuse in tutto il continente americano.
L’autore di questo libro fu John Muir (1838-1914), naturalista, esploratore, fondatore e primo presidente del Sierra Club, ancora oggi una tra le più influenti associazioni ambientaliste americane. Muir appartiene al gruppo di uomini di scienza che contribuirono a diffondere il concetto di “wilderness”, la natura autenticamente selvaggia, portato alla ribalta in tempi recenti da libri e film di successo come “Into the wild” (regia di Sean Penn) e Wild (regia di Jean-Marc Vallée). Il viaggio di Muir non parte tuttavia dalla volontà di fuggire o da una ricerca personale come accade ai protagonisti dei due film. A muoverlo tra le montagne di Yosemite sono le motivazioni che spingono ogni naturalista e ogni scienziato: la curiosità, il desiderio di comprendere e l’ammirazione per il creato e per le sue sorprendenti forme, che si manifestano in questa zona in limpidi torrenti e laghetti, spettacolari cascate, maestose piante, morfologie glaciali, rare specie animali e vegetali.
Proprio nel giugno di quell’anno, così scriveva Muir nel suo diario: «L’aria profuma distintamente di balsamo, resina e menta. Ogni boccata è un dono del quale possiamo ringraziare Iddio. Chi poteva immaginare che un mondo così rude e selvaggio fosse così bello, così pieno di cose buone! È come trovarsi sotto un maestoso padiglione a cupola nel quale sia in atto un grandioso spettacolo, con scene, musica, incensi; e tutto, l’arredo e l’azione è così interessante che non c’è rischio di annoiarsi neppure un istante. Si direbbe che il creatore in persona sia costantemente impegnato, qui, a far del suo meglio, come l’artigiano che lavora in un impeto di entusiasmo» (20 giugno).
Le osservazioni di carattere geologico e forestale, rigorose e corrette anche quando espresse in forma di teorie innovative, sono sempre accompagnate da espressioni di meraviglia e gratitudine. Desiderio, stupore e bellezza sono alcune delle parole che ricorrono più spesso.
«L’intero panorama mostra un disegno, un intento, come le più nobili sculture dell’uomo. Quanta forza in questa bellezza! Colmo d’ammirazione, sarei pronto ad abbandonare tutto per lei. Grato, infinito lavoro mi sarebbe allora decifrare le forze che ne hanno forgiato i lineamenti, le rocce, le piante, gli animali, l’avvicendarsi glorioso delle stagioni. Bellezza incomparabile ovunque, sopra, sotto, creata e in atto di esser creata per sempre. Resto a guardare, semplicemente a guardare, con l’animo pieno di desiderio e stupore…» (5 giugno).
Lo sguardo ammirato e lo spirito pieno di gratitudine che emergono dalle pagine di questo diario gettano le basi anche per un moderno impegno ambientalista, altrimenti fondato sul pessimismo nei confronti della capacità di agire dell’uomo, e rivolto più a difendere che a custodire il creato. «L’equilibrio, dunque, non sta né nell’immobilismo dell’uomo, né nella sua “scomparsa” o diminuzione, ma nella coscienza che l’uomo ha di appartenere a Dio, anzi che tutto è di Dio perché da Lui proviene e a Lui ritorna. Dalla coscienza della universale signoria di Dio scaturisce e si fonda un rapporto di simpatia, gratitudine, rispetto e cura» (Card. Angelo Bagnasco – Il dialogo con la natura, un antico percorso – Brescia, 12 dicembre 2014).
È quello stesso sguardo che ha portato il santo di Assisi a cantare il suo “Laudato sii” e che ritroveremo nel “Laudato sii” di un altro Francesco quando fra qualche giorno ne leggeremo la nuova Enciclica.