Nei porti, i cuori sbarcano prima dei piedi e i corpi partono trascinandosi dietro i cuori, contesi, sia all’arrivo che alla partenza, da paura e speranza: la paura dell’ignoto e la speranza di una vita migliore. Nel porto di Loano, i cuori di chi ha seguito il pre-Meeting sono rimasti in balìa di onde di paura e speranza per quattro giorni, essendosi lì riunito un gruppo di relatori eccezionali che hanno presentato un mondo sì spaventoso, ma non privo di speranza.
Giulio Tremonti ha presentato i fatti che hanno modellato l’Europa così come oggi la conosciamo o, più precisamente, la sua profonda crisi, per concludere che i padri non ci hanno lasciato nulla in eredità. Il mondo cambia, ma noi non possediamo nulla che ci consenta di essere agenti in questo mondo. E Tremonti ha espresso la sua sorpresa per la scelta del Meeting di Rimini, organizzato da Comunione e liberazione, di utilizzare come titolo una frase di Goethe, massone, principe degli illuministi. Ma è proprio questa scelta, forse, a dare speranza, perché nel mondo della repubblica digitale, costruito sulle partigianerie, c’è qualcuno che non guarda agli altri nei termini di “noi e loro”, ma nei termini del bene che entrambi, “noi e loro”, portiamo.
Questa libertà è solo di chi ha un’identità che non smette mai di verificare e a cui non permette mai di diventare una conchiglia dentro la quale marcire. È la libertà che ha permesso a Emilia Guarnieri di incontrare santi, presidenti e vincitori di Nobel e poi tornare alla sua piccola classe, in una scuola ai margini del mondo, per coltivare le domande, la curiosità e la passione per la vita dei suoi studenti. Questo è anche ciò che fa don Claudio Burgio, nel carcere minorile Beccaria a Milano. Don Burgio non perde mai la speranza, nemmeno quando qualcuno di cui si prende cura va a unirsi all’Isis per uccidere e farsi uccidere, ma prima di partire gli lascia una lettera in cui si augura di incontrarlo in paradiso. Don Burgio trova consolazione in questo: il piccolo terrorista gli ha ricordato che c’è una vita eterna in cui questo male non esiste.
Bruno Mastroianni e Giuliano Tavaroli, dal canto loro, ci hanno gettato nel mare digitale di un mondo in cui l’essere umano è diventato un pacchetto di informazioni vendute e comprate sul mercato, sempre digitale. È come vivere una nuova schiavitù, immaginando che la nostra identità reale sia separata da quella digitale, quando invece si intersecano e sono, in effetti, una realtà unica. Ma noi possediamo un’unica bussola: il cuore. A volte, i nostri sé si trasformano in un labirinto. A volte, rimaniamo prigionieri dei nostri errori, tanto che cose ordinarie, come essere figlio o madre, ci paiono un miracolo lontano e, per uscire dal labirinto, non ci resta altro che prendere coscienza che c’è qualcuno che ci ama e per questo siamo capaci di amare. È a questo punto che accadono i miracoli, perché il miracolo non è fare cose straordinarie, ma fare cose ordinarie con amore straordinario.
“Sono pessimista”, ha affermato invece Domenico Quirico, con tutta l’amarezza della sua dolora esperienza nelle mani dei terroristi, con la chiarezza di tutte le informazioni in suo possesso sul mondo islamico radicale. “Non rallegratevi della liberazione di Aleppo e Mosul, perché l’ideologia dell’islam radicale è vittoriosa e continuerà a esserlo. Non possiamo fare nulla per contrastarla, alla luce delle sfide geopolitiche che continuano a favorire questi assassini”. Eppure, sono gli stessi fatti — politici, economici e culturali — presentati da Mario Mauro con semplicità, nonostante la loro forte complessità, ma con una fiducia che non sminuisce la gravità delle sfide e proviene anch’essa da esperienze dirette, ultima delle quali ad Aleppo, dove ha partecipato alla messa di Natale, in una chiesa ricolma di cristiani e musulmani. I muri della chiesa tremavano per la caduta delle bombe, ma non i cuori raccolti in preghiera. Per questo Mauro condivide la speranza del Papa: non per ragioni religiose, ma perché il Papa è l’unico leader la cui visione non è dominata da interessi politici o economici, bensì da testimonianze vive di chi, fra i fedeli della Chiesa, vive quella realtà.
Tuttavia, disperazione e pessimismo sembrano giustificati, se consideriamo la cultura dominante nelle società mediorientali ed europee, in cui gli europei continuano a fuggire dal loro passato, mentre i musulmani continuano a fuggire verso il loro passato. Due guerre mondiali hanno lasciato nella coscienza europea una ferita profonda, che fa sì che qualsiasi tentativo di creare e definire un significato per la vita, l’essere umano, la società o la storia sia sentito come un’esclusione nei confronti di tutto ciò che resta al di fuori di tale significato; un’esclusione che potrebbe minacciare il pluralismo e farci ricadere nell’inferno della guerra e della distruzione. Così, sono cadute le “grandi narrazioni”. È caduta la religione, l’ideologia e infine la scienza. Al di fuori delle grandi narrazioni, ognuno di noi ha dovuto creare la sua piccola narrazione che, tuttavia, non facendo spazio a nessun altro, nasce morta, perché se fosse legata a “un altro” perderebbe la legittimità di esistere che le deriva dall’essere transitoria ed effimera.
Dall’altra parte, il colonialismo e la successiva subordinazione politica, economica e culturale hanno lasciato nella coscienza araba una ferita profonda, che fa sì che ogni tentativo di generare un significato per la vita, l’essere umano o la società sia visto come un consolidamento dell’umiliazione e una minaccia alla purezza delle origini, divenuta l’unica opzione cui ricorrere per lavare l’onta dell’amore per il carnefice e della somiglianza con lui. Così, “le origini” sono diventate la grande narrazione che ha ingoiato le piccole narrazioni, impedendo loro di generare significato. Come potremmo generare significato, se tutto ciò che facciamo è un’eterna ripetizione delle mitiche origini, al di sopra della realtà e della storia?
La civiltà occidentale, oggi, somiglia a un uomo che sceglie di castrare se stesso, perché non vuole generare un figlio malvagio. La civiltà islamica, invece, sembra un uomo che uccide tutti i figli che non somigliano a suo padre, che tuttavia lui non ha mai visto. Il primo mente a se stesso dicendosi che non ha bisogno di figli e che non gli importa del futuro. Il secondo mente a se stesso pensando che la somiglianza con un padre assente possa invertire la direzione del tempo. Il primo mente agli altri tentando di convincerli che i suoi nobili valori non hanno né radici né storia. Il secondo mente agli altri tentando di convincerli che i suoi nobili valori sono ancora in vita e non sono, invece, solo una maschera che nasconde la decadenza morale e la degenerazione umana.
Tuttavia, non perdo la speranza, perché il giorno precedente il pre-Meeting, 23 giovani soldati egiziani sono caduti vittima di un grande attacco dell’Isis contro diverse postazioni militari in Sinai, un tipo di notizia che ci siamo abituati a leggere con dolore, prima di tornare a seguire lo sport. Questa volta, tuttavia, non ha potuto lasciarci indifferenti, perché è stata diffusa anche una registrazione con la voce del colonnello Ahmed al-Mansi che diceva di essere rimasto solo con quattro soldati che avrebbero combattuto Isis fino alla morte, in nome della libertà. Il colonnello e i suoi uomini sono morti, ma resta l’ironia del suo nome: Mansi, dimenticato. La disperazione prende il sopravvento perché dimentichiamo. Dimentichiamo le decine di migliaia di giovani musulmani che sono al fronte a combattere l’islam radicale, dimentichiamo di aver sconfitto la schiavitù e il nazismo, dimentichiamo che le libertà e i diritti umani sono ormai postulati universali in gran parte delle società umane, dimentichiamo che i nostri padri, per realizzare tutto questo, hanno vinto il desiderio di potere e le loro ambizioni. Dimentichiamo che si sono liberati dell’ideologia. Se non dimenticheremo tutto ciò — se non dimenticheremo il colonnello Ahmed — potremo recuperare l’eredità dei nostri padri.
Nel porto non c’è posto per i disperati, perché chi si dispera non arriva da nessuna parte; e per quanto si possa aver paura del cambiamento d’epoca, la speranza troverà sempre un porto come quello di Loano.