Egregio Ministro,
nell’imminenza (settembre 2014) di avvio urbi et orbi del Clil, ho una domanda semplice da porle, a cui arriverò dopo una breve disanima dello stato dell’arte del Clil in Italia.
Il vero problema del Clil non sono i ritardi, a tutti evidenti ed anche evidenziati in una riunione della commissione Clil tenutasi in data 8 maggio al Miur con le associazioni professionali e didattiche, nella realizzazione dei corsi metodologici e linguistici destinati a formare gli insegnanti che da settembre dovranno cimentarsi con l’insegnamento di una disciplina in lingua nel corso del quinto anno di licei ed istituti tecnici. Non lo è nemmeno l’assenza di norme idonee a regolamentare quanto Clil si dovrà fare in quinta, innanzitutto sapere se le norme transitorie per i linguistici, che prevedono un monte ore del 50% massimo per il Clil, saranno estese a tutti i corsi.
Il vero rebus per gli esami di stato 2015 non è nemmeno quanto Clil si sarà fatto, ma chi lo avrà fatto, e chi verificherà quanto fatto: anche escludendo, per sanità metodologica rispetto a ciò che il Clil è, la prima e la seconda prova, cosa accadrà alla terza prova, ammesso che essa resti di appannaggio delle commissioni e non sia “sostituita”/”integrata” dalla prova Invalsi annunciata ancora a novembre 2013 e ancora non definita? Come si regoleranno le commissioni dell’estate del 2015 nella terza prova e nel colloquio, dove i titolari alla verifica delle competenze linguistiche, nel caso di nomina di un docente di discipline non linguistiche (Dnl) che verifichi quanto fatto per il Clil e del docente di lingua straniera, saranno presumibilmente due, e non solo per la collegialità della valutazione delle prove d’esame a tutti ben nota sia nel dettato di legge che nella consuetudine?
Come si andrà tutto ciò ad incastrare nella macchina delle nomine ministeriali per i futuri esami di stato dell’estate 2015? Quale sarà la titolarità del docente Dnl che vada ad esaminare, in terza prova o nel colloquio, il percorso Clil svolto in una certa classe come esterno? Immaginiamo un docente nominato per matematica e fisica in un liceo scientifico, con il collega anch’esso esterno nominato per storia dell’arte, dove il docente di matematica abbia completato il percorso di formazione metodologica (quindi una mosca bianca allo stato attuale e prevedibile delle cose) mentre il collega di arte è digiuno della cosa, perché non se ne è interessato o perché non ha avuto accesso ai percorsi di formazione, in una classe dove la materia scelta per il Clil sia storia dell’arte.
La titolarità del docente di matematica come “docente Clil” lo autorizzerà a stendere i quesiti della terza prova e formulare delle domande in storia dell’arte, oppure “tradurrà” le domande del docente di arte? Il Clil è una metodologia che necessita di un percorso di formazione articolato e che può favorire innovazione nella pratica didattica, e poi si traducono le domande del collega?
Fornirà, il docente di matematica, sostanziali elementi di valutazione, e rispetto a cosa, alle “sole competenze linguistiche”, oppure, di nuovo, tradurrà, e quando? In sede di colloquio, o dopo? Chiunque insegni una lingua ha qualche idea di come tradurre sia tradire e chi si occupa seriamente di Clil avverte il pericolo insito in questa operazione. Un codice linguistico è una forma culturale.
Un altro caso, molto più frequente, potrebbe essere quello di un docente esterno non “abilitato”, ma practioner proprio di quella disciplina (ha fatto anche lui Clil in storia dell’arte, visto che sapeva la lingua meglio di altri!) che si ritrova davanti una classe Clil di arte. Il buonsenso direbbe che questa è la situazione “facile”; la classe di concorso è quella giusta, il docente sa la lingua straniera… Che altro serve, dopotutto? Quindi lo si autorizza (credo nelle norme che ancora devono vedere la luce) lo stesso a verificare le competenze dei candidati, pur in assenza di titoli, in quanto non ha potuto (o forse voluto, c’è chi inizia i percorsi di formazione e li abbandona) conseguirli? E se fosse interno la domanda sarebbe la stessa, anche se ovviamente il docente e la disciplina Clil andrebbero a coincidere; può verificare i suoi studenti, quelli che ha preparato anche per il Clil? Semplificando al massimo: se sono della disciplina e so la lingua (e non nel senso che ho una certificazione acquisita vent’anni prima, ma perché posso dimostrare a chi di dovere le mie competenze attuali di tipo funzionaloi al Clil) visto che di docenti Clil formati non ce ne saranno mai abbastanza, posso verificare i percorsi Clil fatti?
Caro ministro Giannini, se la risposta fosse sì, e “per ragioni di ordine pratico”, saremmo di fronte ad una contraddizione, non certo la prima della scuola italiana. Per far funzionare una norma si riconosce, “temporaneamente”, la professionalità acquisita sul campo (ed ovviamente senza poterla verificare, ma fidandosene quasi per atto di fede) dal docente, per poi, una volta a regime, dimenticarsene totalmente, riproponendo lo stesso schema per un nuovo tassello del problema “formazione docenti”?
Caro Ministro, e se la soluzione al problema fosse in un radicale cambio di prospettiva? Nel corso della sopracitata riunione al Miur la quasi totalità degli interventi di rappresentanti delle associazioni professionali e didattiche ha sottolineato che esiste un sapere didattico diverso dal sapere accademico e che le associazioni sostengono, in vario modo a seconda della propria mission, questo sapere didattico. Come emerso nell’incontro citato, la domanda cruciale è “Quale è il ruolo delle associazioni professionali?” in un percorso già definito, ora traballante, e in cui l’unica risorsa per salvare capra (Clil) e cavoli (Miur) è il docente al lavoro e che verifica, in nome di questo lavoro, e non di altro, studenti suoi e non suoi?
Caro ministro Giannini, se il percorso liberamente scelto dal docente per formarsi sul Clil (creando un gruppo di lavoro con colleghi della sua scuola o fuori di essa, frequentando corsi e seminari tenuti da associazioni professionali e didattiche, che si avvalgono della collaborazione con le università quasi naturalmente, facendo esperienza in classe, studiando da solo, facendo Jobshadowing e quant’altro) non fosse il risultato della buona volontà del docente stesso, di cui avvalersi per far funzionare in qualche modo una macchina non efficiente, ma la risorsa su cui fondare la qualità della scuola stessa, andando a creare un sistema di attribuzione di crediti formativi e di riconoscimento del docente come formatore di se stesso e di altri?