Il convegno “Qualità, merito e innovazione nella Scuola. Un traguardo per la Nazione” promosso dall’on. Valentina Aprea e svoltosi presso la Camera dei deputati lo scorso mercoledì riapre alcuni giochi che erano fermi. Segna la ripartenza della politica scolastica dopo un inizio di anno scolastico in cui bene o male si è puntato sull’autonomia delle scuole, sia per quanto riguarda l’avvio della riforma della scuola secondaria di II grado, sia la proposta di alcune sperimentazioni (valutazione docenti; valutazione scuole), che hanno trovato uditori non sempre benevoli.
Il punto di svolta è rappresentato dalle dichiarazioni del ministro Gelmini che non solo ha criticato i sindacati della scuola per la scarsa collaborazione dimostrata praticamente in rapporto a tutte le novità introdotte dal riassetto del sistema di istruzione (e alcuni hanno già risposto piccati), ma soprattutto ha dichiarato di voler rilanciare anche all’interno della sua maggioranza di governo la “proposta di legge Aprea” (pdl 953) riguardante il rinnovamento dello stato giuridico dei docenti. Dichiarazioni non di poco conto, anzi molto pesanti, perché il progetto in questione, presentato e poi accantonato per ragioni di quieto vivere, rappresenta la madre di tutte le questioni e di tutte le battaglie concernenti la liberalizzazione della figura del docente nella scuola di oggi.
Il testo, presentato nell’ormai lontano maggio 2008 e arenatosi dopo un breve percorso presso la Commissione Cultura della Camera (sede referente), si occupa di un ampio ventaglio di materie (organi collegiali della scuola, sistema di finanziamento, formazione iniziale, reclutamento e area contrattuale dei docenti) all’insegna della sburocratizzazione del sistema e della valorizzazione della figura del docente inteso come professionista e non succube di un ruolo impiegatizio. Da notare che allora, quando il disegno si mise in moto, l’opposizione di centro-sinistra pareva non essere troppo distante dai medesimi obiettivi, giacché il ministro Fioroni, mentre era nel pieno delle sue funzioni, si era dichiarato favorevole all’introduzione negli istituti scolastici dei consigli di amministrazione aperti alle imprese e alla possibilità per le scuole di trasformarsi in fondazioni, nonché alla modifica del sistema di finanziamento alle scuole attraverso le erogazioni liberali e al coinvolgimento degli istituti nel reclutamento dei docenti.
Sono questi, in fondo, gli stessi nodi tematici di cui si occupa la “riforma Aprea”. In estrema sintesi riprendiamo di seguito i punti salienti. Per quanto riguarda il governo delle istituzioni scolastiche, esse possono trasformarsi in fondazioni come pure avere partner pubblici e privati che le sostengano; all’interno di ogni scuola, la programmazione dell’attività didattica spetta al collegio docenti (articolato in dipartimenti disciplinari) e al consiglio di amministrazione che adotta il piano dell’offerta formativa; il dirigente ha più che altro compiti di gestione unitaria dell’istituto; le scuole accedono al sistema di valutazione annuale che fa capo all’istituto nazionale di valutazione (Invalsi).
Per quanto riguarda la gestione delle risorse, il progetto prevede il completamento dell’autonomia, mediante il finanziamento diretto da parte dello Stato, sulla base della “quota capitaria” (il costo medio di ogni alunno moltiplicato per il numero degli iscritti). A proposito del nodo dello stato giuridico, si riscrive completamente la figura del docente che si presenta articolata in tre livelli: docente iniziale, docente ordinario e docente esperto; il trattamento economico è differenziato in base al livello di appartenenza; i docenti sono reclutati direttamente dagli istituti tramite concorsi triennali banditi dalle scuole; l’attività del docente è soggetta a valutazione periodica. Da ultimo, appare molto valorizzato il ruolo dell’associazionismo professionale docente.
Altre parti del testo risultano superate dai recenti sviluppi di carattere normativo. Le modalità di formazione iniziale dei docenti, per esempio, sono materia del regolamento già approvato e pubblicato in Gazzetta ufficiale, di cui si aspetta solo l’avvio tramite decreti applicativi. La sostanza del progetto è tuttavia ancora grandemente innovativa. Basti considerare le fondazioni, pensate sul modello delle Trust Schools inglesi che costituiscono nuclei virtuosi in cui è la comunità civile, e non tanto lo Stato, ad occuparsi delle proprie scuole, mentre a loro volta le scuole rendono conto alla comunità nella quale sono inserite.
Oltre a questo, l’altro aspetto dirompente riguarda lo stato giuridico dell’insegnante, definito per via normativa e non contrattuale. Si tratta di uno snodo fondamentale, a cui è connessa la prospettiva di una reale valorizzazione dell’identità dell’insegnante nella sua duplice veste di persona che è dedita alla comunicazione di sé attraverso ciò che insegna e che, per ciò stesso, si assume una responsabilità rispetto all’intero orizzonte nel quale opera (gli alunni, i colleghi, la famiglie, la propria scuola, il territorio, ecc.). In questo senso, e solo per questo, è da ritenere un “professionista”, che forte del proprio patrimonio di esperienze e conoscenze si rapporta alla domanda di educazione e di istruzione che proviene dai giovani e contribuisce a costruire ogni giorno l’ambiente scolastico nel quale opera.
Si riavvia un cantiere nel quale i tasselli sparsi di un mosaico impazzito possono ricompattarsi. Attorno alla centralità di una scuola/fondazione, davvero autonoma perché garante delle risorse che riceve, e di una figura di docente libero di educare (e dunque di svolgere il proprio lavoro per rispondere ad alcuni precisi obiettivi sui quali poi sarà valutato) si può pensare di raccordare la formazione iniziale dei docenti con le varie misure di assunzione e reclutamento che dovranno essere messe in campo, una volta che le scuole (singole o in rete) siano appunto titolate ad assumere.
L’opportunità di un’intesa bipartisan, dopo tanta dialettica a buon mercato, è anch’essa da mettere in conto, pur senza farsi troppe illusioni. Ad ogni modo, se è questo l’orizzonte cui si vuole tendere, le carte sarebbero subito sparigliate: si vedrebbe a chi interessa davvero un sistema meno centralistico e chi è ancora arroccato su logiche assistenzialistiche di fatto condannate all’immobilismo.