La magistratura è un ordine dallo Stato, con il precipuo scopo di far rispettare le leggi approvate dal Parlamento in nome della sovranità popolare — grazie alla quale il popolo si fa Stato. Ma il popolo non coincide con lo Stato; e viceversa. Tuttavia spesso il giusto equilibrio tra i due ambiti subisce profonde alterazioni. Cosa succede infatti se chi amministra la giustizia non usa le leggi dello Stato per favorire il corpo sociale?
L’ultimo episodio lo dobbiamo a Giuseppe Buffone, giudice della nona sezione civile del tribunale di Milano, che in una sentenza dello scorso 19 marzo ha stabilito che i figli di una coppia separata devono frequentare la scuola statale e non una paritaria come chiesto dalla madre. Per motivare la propria scelta Buffone scrive come “non si possa affatto dire che la scuola privata risponda al preminente interesse del minore, poiché vorrebbe dire che le istituzioni di carattere privato sono migliori di quelle pubbliche”.
Dunque, per il magistrato milanese, i figli di una coppia separata non possono continuare a godere del medesimo benessere in vigore prima della separazione. Se prima questo poteva essere garantito, ora invece “costituisce l’espressione di un ‘diritto immaginario’ che non trova tutela nell’ordinamento giuridico”; pertanto “la decisione dell’Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell’istruzione pubblica”.
In altre parole, per il dottor Buffone la scuola statale è per ciò stesso qualitativamente migliore di quella non statale. In altri termini, per il giudice affermare che possano esserci servizi pubblici non erogati dallo Stato migliori di quelli forniti da quest’ultimo, equivale, ancor prima che ad un principio inammissibile, ad una ipotesi che non si regge.
Nella sentenza il giudice Buffone elegge a sistema una palese disparità tra scuole paritarie e non. Quella di avere un’enorme differenza di trattamento, per la quale la scuola paritaria costa allo Stato l’1% di quella statale, essendo però frequentata dal 10% degli studenti italiani. Una bazzecola da 4,5 miliardi di euro che non ha nemmeno sfiorato la mente del giudice Buffone, mentre era intento a redigere la sua sentenza.
Non solo. Il giudice Buffone, escludendo che la scuola privata risponda al preminente interesse del minore, dà allo Stato il monopolio educativo, con buona pace della libertà di scelta, sancita da una legge, la 62/2000, mai dichiarata incostituzionale.
Appellandosi all’articolo 34 della Costituzione italiana il magistrato milanese avrebbe potuto chiedere allo Stato di superare le diseguaglianze economiche della famiglia con l’erogazione di borse di studio adeguate al caso. Eppure, niente di tutto questo.
Fanno poi rabbrividire le parole riportate da Repubblica.it a commento della sentenza. In particolare quelle di Laura Cossar, avvocato di diritto di famiglia e membro dell’ufficio di presidenza dell’Ordine degli avvocati di Milano, che ha definito “un capriccio” il desiderio dei genitori di iscrivere alle scuole non statali i propri figli. A Milano dunque le grandi diseguaglianze sono bazzecole e solo lo Stato può rispondere ai desideri più veri del popolo, mentre a Repubblica.it, a Roma cioè, la libertà di scelta non risulta ancora pervenuta. Dov’è finito l’ex direttore de La Stampa, Mario Calabresi?