Gran parte delle nostre conoscenze sulla struttura interna del nostro Pianeta derivano dallo studio delle onde sismiche rilasciate dai terremoti, la cui propagazione è legata alla densità e alle proprietà elastiche dei materiali della Terra. In epoca recente, nuove idee stanno emergendo grazie alla petrologia sperimentale, che attraverso lo sviluppo tecnologico di presse ad alta pressione e alla disponibilità di sorgenti di luce di sincrotrone per innalzare la temperatura nella capsula centrale della pressa, sono in grado di riprodurre le condizioni di temperatura e pressione di qualunque punto interno alla Terra, e di fornire dunque, informazioni essenziali per la comprensione dei materiali e dei processi che dominano le regioni più profonde del Pianeta.
La Terra non ha una struttura omogenea, ma convenzionalmente è suddivisa in tre gusci concentrici: una crosta esterna solida, un mantello roccioso estremamente viscoso e un nucleo metallico, liquido quello esterno e solido quello interno. La densità della crosta è di ~2.7-2.8 gr/cm3, mentre quella media del pianeta è di 5.52; dunque l’interno della Terra deve avere una densità ben maggiore dell’involucro esterno. La crosta terrestre è separata dal mantello sottostante dalla discontinuità sismica di Mohorovich, caratterizzata da un aumento di velocità delle onde sismiche longitudinali, da valori inferiori a 7.6 km/s a valori vicini o superiori a 8 km/s. Lo spessore medio della crosta terrestre è di ~5 km al di sotto degli oceani con una composizione ricca di silicati di ferro e magnesio, mentre al di sotto dei continenti è di 30 km con dominanti silicati di calcio e alluminio. Il mantello terrestre, che si estende fino alle profondità di ~2900 km (discontinuità di Gutemberg), è costituito principalmente da peridotiti, rocce ricche in silicati di ferro e magnesio. Il mantello inferiore, compreso tra le profondità dei 670 e 2900 km, include la gran massa della porzione rocciosa della Terra. I processi di convezione in questa regione trasferiscono il calore dal nucleo esterno e trasportano il flusso di calore verso la superficie, contribuendo al motore che guida la tettonica delle placche. E’ evidente dunque, l’ importanza di sperimentare i processi e le caratteristiche chimico-fisiche dei materiali in condizioni di temperatura e pressione analoghe a quelle presenti in prossimità dell’ interfaccia nucleo-mantello.
Lo studio delle onde sismiche ha rilevato che negli ultimi 1000 km del mantello inferiore sono presenti un ampia varietà di fenomeni: a) due vaste regioni profonde caratterizzate da una forte riduzione di velocità (~3%) delle onde di taglio (large low-shear-velocity provinces, LLSVPs) che si estendono dall’interfaccia Nucleo-Mantello fino alla profondità di ~2000 km al di sotto dell’Africa e del Pacifico; b) regioni con discontinuità nelle velocità sismiche quasi orizzontali 100-300 km al di sopra dell’interfaccia nucleo-mantello con salti di velocità delle onde sismiche dal 2 al 3% (queste discontinuità definiscono la regione anomala alla base del mantello chiamata D”); c) regioni con spessori tra i 5 e i 40 km al di sopra dell’interfaccia nucleo-mantello, caratterizzate da riduzioni fortissime delle velocità sismiche, fino al 45% (ultralow-velocity zones,ULVZs).
I risultati di due esperimenti, recentemente pubblicati sulla prestigiosa rivista Science, forniscono nuovi ipotesi su come le anomalie di velocità delle onde sismiche possano essere generate nel mantello profondo. Andrault e coautori (2014) hanno esaminato la temperatura di fusione della crosta oceanica basaltica fino alle pressioni e temperature in prossimità dell’interfaccia nucleo-mantello, grazie all’impianto della European Synchrotron Radiation Facility (ESRF) di Grenoble. Gli autori mostrano che la crosta oceanica, portata in profondità lungo le zone di subduzione, è la componente con il punto di fusione più basso (3800 °K a 100 GPa) e rappresenta l’unica componente che può fondere parzialmente una volta in prossimità del nucleo esterno. Il materiale basaltico fuso potrebbe costituire la componente dominante delle regioni a velocità ultra-lente, ma può rimanere tale, solo se, in presenza di una matrice solida con composizione basaltica. Infatti il fuso basaltico a contatto con le rocce costituenti il mantello, trovandosi in forte disequilibrio chimico, reagirebbe immediatamente per formare perovskite solida (la fase silicatica di ferro e magnesio dominante nel mantello inferiore).
L’altro studio condotto da Zhang e coautori (2014), ha evidenziato che la composizione del mantello terrestre potrebbe essere differente da quella prevista dalle teorie attualmente più accreditate, che lo indicano come formato quasi esclusivamente di perovskite. Infatti, gli autori hanno dimostrato che la perovskite e’ instabile alle condizioni di pressione e temperatura presenti alla base del mantello e si dissocia in due fasi: una perovskite con solo magnesio e un nuovo silicato, ricco di ferro e dalla struttura esagonale, chiamato fase H. Qualora ci fosse la possibilità di segregare queste due fasi minerali in regioni arricchite ed impoverite nellafase H e quindi in ferro, si potrebbe fornire una spiegazione alternativa per le due vaste regioni profonde caratterizzate da forti anomalie nelle velocità delle onde di taglio (LLSVPs). Le onde di taglio sono rallentate quando attraversano queste regioni e la diminuzione di velocità può essere dovuta ad una maggiore densità delle rocce presenti dovuta ad un arricchimento in ferro.
Se le deduzioni logiche derivate da questi esperimenti rispecchiassero la realtà, ne segue che dovremmo rivedere la teoria generalmente accettata dei plume di mantello. I plume di mantello sono ritenuti originarsi dai bordi delle due vaste regioni caratterizzate da forti anomalie nelle velocità delle onde di taglio (LLSVPs),dalle quali risalgono fino alla superficie dando luogo ad un intenso vulcanismo spesso sottoforma di lave eruttate nelle isole oceaniche. L’impossibilità di avere fusi in equilibrio con le rocce di mantello in prossimità dell’ interfaccia nucleo-mantello e la presenza di fasi minerali più dense nelle regioni in cui si riscontra una riduzione nelle velocità delle onde di taglio preclude la possibilità che i plume possano originarsi in tali regioni.
Nuove luci rischiarano l’oscurità del mantello profondo, ma con loro nuove ombre si affacciano alla ribalta e per fugarle molti studi dovranno seguire. In particolare, nell’ambito della petrologia sperimentale, si dovrà verificare come il contenuto in volatili e le variazioni nelle concentrazioni degli elementi maggiori e minori possano influenzare la fusione e i cambiamenti di fase alle alte pressioni e temperature del mantello inferiore