In occasione del centesimo anniversario della nascita di Mario Luzi, il Centro Culturale di Milano ha voluto richiamare con una pagina web a lui dedicata la profonda amicizia che lungo gli anni 90 ha legato il poeta (che possiamo ora affermare riconosciuto tra i più grandi del Novecento) al Centro. Amicizia nata non per caso, quanto per una riconosciuta anomalia nella vita del poeta: infatti, in Luzi possiamo identificare alcuni elementi assolutamente eccezionali e di spicco, che a prima vista stonano con quella che potrebbe sembrare una vita tutto sommato “normale”, senza straordinarie avventure o rivoluzioni. Innanzitutto, l’inesauribile e florida attività poetica, che dalla prima raccolta La barca del 1935, la quale segna l’inizio del viaggio, arriva fino a Dottrina dell’estremo principiante del 2004, pubblicata pochi mesi prima di morire, e all’ultima raccolta postuma del 2008, Lasciami non trattenermi; con oltre 20 raccolte poetiche pubblicate in vita, senza poi soffermarsi sui saggi letterari e cinematografici, ci troviamo di fronte a un uomo che, dall’adolescenza fino all’estrema vecchiaia, si è sempre posto di fronte alla realtà con un atteggiamento di meraviglia, suscitando così continuamente la produzione poetica.
In secondo luogo, ma non per questo meno significativo, dobbiamo dire della sua sorprendente disponibilità verso il dialogo con le persone — pensiamo alle tantissime interviste concesse anche a molti giovani — e all’incontro come i due avvenuti proprio al Cmc nel 1990 e 1994, segno peculiare di un’umanità che si considera immersa nel presente.
Nel video inedito del Cmc con un Luzi maturo che parla di sé e della sua generazione di fronte al destino, così lo ricorda il poeta Davide Rondoni: “Credo che Mario mi ha dato per primo l’esempio, vivendo la sua vita in questo modo, del poeta come disponibilità, cioè non come separazione, dalla società, dalla vita, dalla storia, anche dal torbido della vita comune, degli affanni, delle persone”. Non un fattore di carattere, ma una concezione, prosegue Rondoni, “una disponibilità perché ci sia almeno un punto dove la vita degli uomini possa dirsi, possa ascoltarsi, possa trovare un’audizione non schematica, non ideologica; e credo che il poeta oggi, se conta qualcosa, conta proprio per questa disponibilità assoluta, al fatto che la voce degli uomini cerca un posto, una possibilità”.
Un uomo immerso nel presente fino al collo, tanto da fare di esso il protagonista unico e indiscusso della sua poesia: durante un’intervista, rispondendo alla domanda su quanta importanza abbia la dimensione civile nella poesia, egli afferma che la materia della poesia è “il presente, la poesia vive del presente, anche se la prospettiva è quella di una temporalità più ampia, più vasta, che magari confina con l’eterno”.
E così riscopriamo Mario come cantore della vita quotidiana, del lavoro di tutti i giorni, di quella vita pulsante e attiva che troppo spesso viene considerata come una sorta di non-vita (ovvero i cinque giorni di limbo che distanziano i fine settimana), ma che è intimamente annodata al destino più di quel che si pensa.
In questa linea, è proprio in quell’incontro del 1990, dal titolo eloquente Uomo e Destino: il viaggio di una generazione, un documento eccezionale dove il poeta fiorentino esprime in modo unico questa vocazione della sua poesia: “Il frammento, che è ciò che noi possiamo percepire di questa grande massa di eventi, è un riflesso del tutto. Il frammento è degno di essere amato e considerato in se stesso”. E i frammenti sono le innumerevoli sfumature della vita abituale e giornaliera, fatta di eventi dimessi e sublimi; è nell’ottica di questa nuova poetica potremmo dire “del mondo” che si comprende il grande stacco che Luzi compie rispetto alla poesia esiliata e solitaria dell’ultimo secolo, uno stacco che implica la rivalutazione, per l’appunto, del mondo, prima “tenuto a vile per la sua impossibilità a rispondere a un’idea preconcetta”.
Così si delinea il profilo di un poeta che ha il ruolo di aiutare gli uomini a leggere il “codice” con il quale ogni frammento è scritto, un poeta che è innanzitutto uomo e, in quanto tale, deve usare la propria ragione in modo adeguato, riconoscendo che “c’è un conoscere misterioso […]. C’è un mistero che è conoscenza, c’è una conoscenza per mistero; il mistero è un modo di apprendere a cui l’uomo è chiamato non per rassegnazione o per diminuzione di intelligenza, ma per un salto nella procedura del conoscere pari all’incomprensibilità dell’oggetto, riguardo alla norma che la ragione si è data finora”.
Uno stravolgimento della concezione di poeta-vate o dei santoni della cultura che attraversa tutto il novecento e che torna a puntare i riflettori sul ritrovato contatto della poesia con la realtà, realtà che è ben lontana dall’essere considerata come pura materialità. Potremmo descriverlo come un vero e proprio moto amoroso verso la realtà stessa (non è forse lo stesso Luzi ad affermare che “non si dà la parola, l’uso di questa senza amore”?), che viene riassunto con magistrale sintesi nelle parole iniziali di introduzione alla conferenza: “Perché l’essenziale è proprio questo: fare quello che si fa in piena buona fede, cioè aderendo fino in fondo al senso del fare”.
Può sembrare ovvio che l’opera di Luzi non è opera di altruismo o carità politica verso gli uomini. L’opera poetica è un avvenimento innanzitutto per il poeta stesso, e quindi lo cambia: “E dal mio lavoro mi sento trasformato io stesso, perché spesso l’opera muta l’autore più di quanto accada il contrario”.
Abbiamo quindi per le mani l’umile testimonianza di uomo mutato nel profondo, per il quale la poesia rappresenta il mezzo privilegiato di conoscenza del mondo. Quello che potremmo definire un uomo di cultura, cioè un uomo che, attraverso un moto amoroso, introduce alla conoscenza totale della realtà, senza dimenticarne neanche un frammento. È un invito che ci viene rivolto, come l’invito che il poeta rivolge a un “ignoto tu” nella poesia Come tu vuoi, tratta dalla raccolta Onore del vero, invito a irrompere nelle nostre giornate e cullare e accogliere tutta la nostra solitudine: “Tu che per lunga promessa / vieni ed occupi il posto / lasciato dalla sofferenza / non disperare o di me o di te, / fruga nelle adiacenze della casa, /cerca i battenti grigi della porta. / A poco a poco la misura è colma, / poco a poco, a poco a poco, come / tu vuoi, la solitudine trabocca, / vieni ed entra, attingi a mani basse”.
Alessandro Vaghi