Nel rispondere a Gotti e Silvano, che ringrazio per aver voluto interloquire con me, non si può non cominciare dall’intervento di Comensoli su queste stesse colonne. «Ora la riforma può passare perché nel decorso decennio si è fatto di tutto e di più per depurarla di tutto quanto essa portava con sé di fortemente innovativo» ha scritto riflettendo sull’evoluzione da Berlinguer a Gelmini. La conclusione poi è ancora più pessimista: «In Italia la scuola della società della conoscenza, purtroppo, non ci sarà». Personalmente mi ostino a pensare che questo non sia il nostro destino ineludibile e siano invece maturi i tempi per la costruzione di un movimento riformatore capace di sconfiggere i conservatorismi di ogni schieramento e le resistenze che hanno portato al risultato denunciato da Comensoli.
E vengo così all’intervento di Silvano, che mi sembra mi attribuisca pensieri non miei e che spero ci sia occasione di approfondire in altre occasioni, magari anche di confronto pubblico a partire dalle proposte del Pd lombardo e da quelle contenute in Una scuola che parla al futuro, che ho letto con molto interesse, mantenendo dissenso su una parte di esse, ma considerandole – al pari di altri – un contributo fondamentale, se si vorrà arrivare a quel cambiamento nel sistema scolastico assai urgente. Non mi sfugge affatto che il sistema pubblico di istruzione e formazione (che include anche le paritarie) sia il perno di questa rivoluzione necessaria.
E così come penso che sia un errore drammatico mettere in contrapposizione – come ha fatto il Governo – il mondo della scuola e gli studenti e le famiglie che la frequentano, non mi sognerei mai di mettere in contrapposizione la qualità di una scuola statale e di una non statale per il solo fatto di essere tali. Però andrebbe prestata maggiore attenzione a quanto il Presidente dell’Invalsi va dicendo da anni, e cioè che non è affatto provato che la cosiddetta “libera scelta”, ossia la concorrenza, sia la via migliore per assicurare il miglioramento del sistema scolastico. Ma non voglio cavarmela con una battuta: sul tema delle paritarie voglio essere chiaro.
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Se si tratta di garantire il rispetto del dettato costituzionale sulla libertà educativa nell’ambito di regole certe (garanzie per gli utenti come per gli operatori), oggi più che mai necessarie poiché viviamo in un momento di egoismi di ceto e di esplosioni integraliste di ogni colore, siamo assolutamente d’accordo e non abbiamo prevenzioni. Ma se la questione è invece quella di cambiare radicalmente il nostro modello di scuola lasciando a quella statale solo il ruolo residuale di intervenire là dove la società civile non è in grado di farlo, allora no, non siamo d’accordo. Che lo Stato non debba essere “producer” ma “provider” va benissimo. Che ogni scuola autonoma debba ottimizzare le risorse, anche. Ma ogni scuola che pretende di essere “pubblica” deve garantire il rispetto dei livelli essenziali di prestazione, tra cui – lo ribadisco per completezza del ragionamento – quelli dell’uguaglianza dei cittadini senza discriminazione di sesso, ceto sociale, religione.
Ho letto con attenzione anche la replica di Eugenio Gotti, sapendo come della politica scolastica di Regione Lombardia sia stato il vero, infaticabile tessitore, caratterizzandosi per intelligenza e moderazione, che spesso non vediamo altrove. Non a caso – mi si conceda la notazione – egli si guarda bene dall’entrare nel merito di ciò che siamo certi non condivide: l’idea, che francamente ci sembra proprio razzista, di un reclutamento per graduatorie basate sulla residenza; l’assenza della Lombardia dai processi di costruzione dell’istruzione e formazione tecnico-professionale terziaria (da quanti anni non si fanno, dopo il meritorio varo dei poli formativi, corsi di istruzione tecnica e professionale superiore?); il ritardo gravissimo e inaccettabile sulla individuazione del valutatore indipendente. La “dote scuola” ha avuto un incremento importante, andato a vantaggio anche degli studenti delle scuole statali, è vero.
Contestiamo però la disparità di trattamento con chi frequenta una scuola non statale (dove il 60% dei buoni viene erogato a chi ha redditi tra 47mila e 198mila euro all’anno) e soprattutto che sia diventato l’unico strumento di erogazione del Diritto allo Studio. Non dovrebbe essere così a prescindere da ciò che si pensa dello strumento “dote scuola”. La critica allo strumento “dote formazione” invece va riferita soprattutto al presupposto, che ci pare assolutamente ideologico, della scuola come servizio a domanda individuale, appunto come un “quasi-mercato”. È un discorso lungo e serio e non è questa la sede, ma sono certo avremo modo di tornarci.
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A noi sembra, intanto, che di fatto la "dote formazione" non consegue lo scopo di garantire la libera scelta delle famiglie, che debbono tener conto di vincoli oggettivi stringenti come le distanze e i trasporti, ma certamente assicura incertezza di prospettiva alle istituzioni formative che sono costrette, a causa del bando annuale, ad un corto respiro che porta ad inseguire le “mode” (vedi l’incredibile espansione dei corsi di estetista-parrucchiere). Tanto è vero che Regione Lombardia ha dovuto correggere l’impostazione iniziale imponendo alcuni vincoli congiunti di area territoriale e di settore all’assegnazione dei fondi alle province.
Prima delle conclusioni, alcune domande (non retoriche) a Gotti. La prima: le percentuali sull’inserimento degli stranieri e dei portatori di handicap che lui riferisce alle scuole statali hanno come base l’intero universo delle scuole o solo gli istituti professionali? Abbiamo il sospetto che sia il primo caso, ma allora si paragonano patate e cipolle. E propendiamo a credere che la percentuale di portatori di handicap non sia diverso tra le agenzie di formazione professionale e gli istituti di istruzione professionale. La seconda. Gotti dice: «la programmazione regionale già si fa in modo integrato tra istruzione e formazione professionale, ed è in atto un importante accordo tra Regione Lombardia e Ministero dell’istruzione che ha portato a unificazione l’istruzione professionale statale con la formazione professionale regionale».
Noi veramente non abbiamo visto alcuna traccia di programmazione regionale, nè sulla scuola, nè sulla formazione professionale, forse perchè a un mese dalle elezioni e senza alcun margine di tempo grazie alla fretta di Gelmini non si poteva correre il rischio di operare scelte. Ma soprattuto avevamo capito che i percorsi quinquennali statali di istruzione professionale e quelli di “Istruzione e Formazione Professionale” regionale fossero ben distinti. Ora si dice che si “unificano”, cioè che sono la stessa cosa. Avevamo capito male? E’ l’annuncio della prossima tappa? La terza domanda riguarda la tematica dei costi della scuola. La prima seria indagine sulle cifre dell’istruzione italiana è quella del celebre Libro Bianco redatto sotto il “famigerato” governo Prodi.
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Lì si rilevano gli sprechi e le differenze rispetto all’Europa ormai utilizzati da tutti come argomentazioni a sostegno dei tagli. Su questo aspetto rimarco che la mia richiesta di “più risorse” non era in assoluto, ma specificatamente per gli interventi di cui ho parlato: tirocinio, aggiornamento obbligatorio, valutazione, progressione di carriera. Si converrà che la loro realizzazione non è a costo zero.
Bisognerebbe però anche rilevare che nel nostro territorio i dati non sono quelli e sarebbe importante che Regione Lombardia lo riconoscesse. Invece di appoggiare la Lega nelle sue peggiori elaborazioni xenofobe, sarebbe meglio operare per cambiare le situazioni di disagio reale da cui quelle “elaborazioni” nascono: i tagli orizzontali di Tremonti, i facilitatori linguistici pressoché scomparsi con tanti saluti alla lingua come criterio di cittadinanza, il mancato riconoscimento dei corsi di italiano per stranieri nella determinazione degli organi dei Centri per l’istruzione degli adulti, i mancati accrediti per le supplenze e i dirigenti ammoniti se si permettono di parlare con la stampa dei problemi.
Siccome il Pd è assolutamente favorevole alla competenza regionale in ordine all’assegnazione delle risorse, sono questioni che si porranno molto presto e speriamo non siano risolte con logiche del tipo “tre milioni di euro per le scuole che chiudono in occasione delle competizioni elettorali”. La quarta domanda l’ho già fatta, ma vedo che è stata elusa da tutti. Nella prossima legislatura sarà ripresentata dal Pd una proposta di legge per il riconoscimento delle autonomie scolastiche. Potrà avere un sostegno da parte di chi governa la Regione?
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Infine, la questione del reclutamento da parte delle scuole. Considero (e rispondo così a Cominelli) sperimentare su questo una scelta sbagliata e di difficile attuazione. Sbagliata perché ci sarebbe modo migliore per evitare di implementare tutto ciò che anche Cominelli considera fondamentale per dare senso al puzzle; scrive infatti Giovanni: «quella del reclutamento è solo una tessera del puzzle, alla cui composizione servono tutte le altre in tempi rapidi: la formazione iniziale, la carriera, lo stato giuridico, la valutazione».
Il timore è che la sperimentazione del solo reclutamento ci condannerebbe a non veder mai realizzato l’intero disegno riformatore. Di difficile attuazione perché non riesco a capire come possano convivere nello stesso territorio insegnanti che scelgono scuole (quelli in graduatoria) con scuole che scelgono insegnanti (quelli negli albi).
A meno che con “sperimentazione” non si intenda voler sperimentare nell’intera Regione, ma questo collocherebbe la Lombardia fuori dal Sistema Nazionale per un punto fondamentale come il reclutamento e questo è per noi inaccettabile. A parte questa preclusione sulla sperimentazione, ribadisco che dare ruolo alle reti di scuole (e non ai singoli Dirigenti) non ci vede pregiudizialmente contrari, se in un contesto chiaro e definito. A cominciare dal fatto che la responsabilità di chi recluta deve essere riconosciuta sulla base di una valutazione scientificamente valida. Si torna così al “valutatore indipendente”. Chi è? Di quali risorse e strumenti dispone? Come si fa ad impedire che risulti condizionato in maniera determinante dal soggetto che paga? Mi piacerebbe che di questo si parlasse prima di tutto in Consiglio Regionale e contemporaneamente che su questo si lanciasse una seria discussione pubblica nella quale ciascuno si assumerà la responsabilità delle proprie posizioni.