Caro direttore,
recentemente, il ministro Profumo ha parlato a più riprese di scuole che possano aprirsi alla comunità: veri e propri “civic centres”, con formazione per giovani, ma anche per adulti, feste per bambini, corsi di ballo e di ginnastica. Le scuole dovrebbero dare spazi per mostre accattivanti ed eventi culturali da cui la comunità scolastica possa trarre giovamento per una maggiore coesione.
Una simile ipotesi (oggi nei nostri sogni) potrebbe aver presa in un contesto nel quale la scuola rappresenti veramente gli interessi della comunità che serve: una “istituzione vicina” che possa scegliere i suoi insegnanti, che li formi, li coinvolga e li premi, vincolando la loro permanenza per la stabilità necessaria a far apprendere. Una scuola che attragga la presenza dei genitori e presenti, anche esternamente, un ambiente adatto, gradevole e sicuro. L’ipotesi rimanda soprattutto a una realtà di forte impegno ideale, tale da diventare motore di aggregazione attorno a un progetto culturale, professionale, ideale, leva per motivare il ragazzo ad apprendere e a costruire il suo rapporto con gli altri.
Dovremmo sorridere, allora, considerando l’età media dei docenti, la loro formazione non più attuale, il carosello delle mobilità, le condizioni di sicurezza e adeguatezza delle scuole… se non fosse che tali “sogni” sono già esistenti in paesi più evoluti scolasticamente: sistemi educativi che si proiettano nell’era del quasi mercato e manifestano un approccio allargato all’istruzione pubblica, per questo non sempre coincidente con quella statale.
La scommessa di fondo è quella di ridurre gradualmente la presenza delle scuole governative meno performanti (ma pur sempre costose per la comunità) potenziando scuole più piccole, con forte ethos e legate al territorio: non offrono solo istruzione ma le basi su cui dare senso all’apprendimento. L’ethos della scuola ha una sua funzione educatrice ma fa anche da apripista ai saperi e alle competenze insegnate.
Il sistema richiede a sostegno (e senza pregiudizi) le migliori risorse della società civile, di creatività e di libertà, all’interno di un quadro comune di riferimento. Non è importante chi gestisce la scuola, se lo Stato o dei soggetti sociali, ma diventa decisiva la proposta educativa che si offre.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti, non solo in termini di successo complessivo nel conseguimento degli apprendimenti ma anche (diversamente dall’Italia) nell’ancora vitale mobilità sociale: nel recente Rapporto Ocse sulle disuguaglianze, i paesi con meno problemi sotto l’aspetto della disparità sono quelli che hanno adottato una politica di sostegno alla scuola “pubblica” della società civile: una politica lungimirante e, peraltro, interessata.
Quasi ovunque, infatti, le scuole libere “costano meno” delle governative. In Svezia, ad esempio, il finanziamento pro capite per le istituzioni libere sovvenzionate è del 6-7% in meno rispetto alle municipali. Va aggiunto che, diversamente dalle scuole municipali quelle governative-dependent pagano l’imposta sul valore aggiunto, che porta a pesare meno sulla collettività.
Questa vision è condivisa dall’azione decisa di molti governi (svedese, finlandese, danese, norvegese, olandese e, più recentemente, inglese…). In questi paesi viene finanziato dall’80% al 100% del costo alunno della scuola non governativa (in genere non profit) la quale, ad esempio, in Olanda arriva a raggiungere 7 istituzioni scolastiche su 10.
Inoltre, un costruttivo confronto e una moderata concorrenza tra istituzioni governative (non più autoreferenziali) e libere, sembra torni a beneficio dell’intero sistema. Come sostenuto dalla Swedish National Agency for Education, le stesse scuole governative espongono migliori risultati nei territori dove c’è più competizione.
Infine, nei paesi del nord Europa, cade anche il mito della selezione discriminante da parte delle scuole libere.
Il caso del sistema olandese, liberalizzato dal 1917 (un diritto sancito dalla Costituzione), è emblematico, perché non si nota più un’apprezzabile differenza di composizione sociale tra gli iscritti a scuole governative e non.
In Svezia, dove nelle grandi città il 40% degli studenti frequenta ormai le scuole libere (friskolor) liceali e professionalizzanti, la proporzione di alunni con background straniero è praticamente la stessa nelle scuole municipali e libere. Queste ultime, pur esibendo le caratteristiche da condividere del proprio progetto educativo, non possono scegliere per abilità, status e razza i loro studenti, ma ne sono scelte. Inoltre, non possono imporre rette. Così come in altre realtà del nord Europa, come quella olandese, questo fenomeno ci fa comprendere che, nei contesti consolidati di parità effettiva delle scelte, la natura delle scuole libere tende a perdere la connotazione selettiva.
Nei paesi dell’Ocse, gli studenti delle scuole libere con famiglie di basso reddito si avvantaggiano più di quelli con genitori facoltosi. La liberalizzazione del sistema scolastico (già, perché di liberalizzazione autentica si tratta), non ha portato al “ghetto dei ricchi” ma alla sostituzione delle scuole scadenti con quelle più inclusive, tra le migliori sulla piazza.