Caro direttore,
36 ore di lavoro alla settimana per ogni insegnante: è questa la nuova trovata del governo Renzi, o quello che la stampa dice (cfr. l’articolo di Corrado Zunino su Repubblica di mercoledì scorso) delle decisioni che il ministro Giannini e il sottosegretario Reggi vogliono prendere per razionalizzare il sistema dell’istruzione. Una trovata che fa leva su un pensiero comune superficiale e ingiusto che ha di mira il mondo dei docenti, colpevole di poche ore di lavoro e di troppe vacanze.
Una demagogia facile: gli insegnanti fanno poche ore di lavoro durante l’anno, hanno tre mesi di vacanze, quindi facciamo in modo che stiano a scuola come uno qualsiasi dei lavoratori dipendenti di oggi, 36 ore di lavoro a scuola. Un’idea del tutto fuori luogo, una proposta sciagurata, il cui scopo è quello di scatenare di nuovo l’opinione pubblica contro gli insegnanti. È gettare discredito per poter riorganizzare la scuola, ma senza rendersi conto di un errore di fondo, e cioè che dal discredito difficilmente si genera fiducia; è cavalcare un luogo comune senza capire che in questo modo si demonizza una professione che invece è decisiva per la ricostruzione del paese.
Vorrei fare in proposito alcune precisazioni.
L’idea di fare 36 ore di lavoro alla settimana è assurda e fuori luogo, perché gli insegnanti fanno già 36 ore di lavoro settimanali e in molti casi anche di più. Al posto di fare strani proclami si prenda atto della realtà. Oggi un insegnante altro che 36 ore di lavoro alla settimana! Fa 18 ore di insegnamento, deve preparare le lezioni e per farlo ci vogliono ore ed ore, poi viene il lavoro di programmazione collegiale che in questi anni è giustamente cresciuto sempre più, altre ore sono dedicate alla correzione delle verifiche e al controllo dei lavori che fanno quotidianamente gli studenti. Se uno volesse fare il conto di quante siano le ore di lavoro di un insegnante supererebbe senza ombra di dubbio le 36 ore. E che dire degli insegnanti che stanno svegli fino a tardi a correggere i compiti o di quelli per i quali non esiste più né sabato né domenica?
Questa è la realtà, che gli insegnanti 36 ore la settimana le fanno già, e soprattutto, senza che nessuno gliele paghi. Quindi la questione seria non è che un ministro obblighi gli insegnanti a fare quello che fanno già. Al contrario, un governo o un ministro serio dovrebbero riconoscere e adeguatamente valorizzare quello che già fanno gli insegnanti. È questo il problema che mai si è voluto affrontare e che anche i sindacati non hanno mai voluto prendere in carico, è il problema del riconoscimento della caratteristica tipica della professione docente.
Volerla quantificare, ingabbiandola in un numero preciso di ore, è quanto di più irrazionale possa entrare oggi nel mondo della scuola: 36 ore, 40 ore, 28 ore? Quanto basta a ogni insegnante lo sa ogni insegnante! Non è un decreto governativo a stabilire quante ore occorrano ad un insegnante per fare una buona ora di lezione, così come non sarà mai un ministro a stabilire quanto ci voglia a correggere un tema o un esercizio di matematica.
Il lavoro dell’insegnante è un lavoro che ha una natura tutta sua: vi è l’ora di lezione, la sua preparazione, la correzione degli elaborati, e non si può stabilire se non il numero di ore di lezione; il resto è lavoro che da anni aspetta di essere riconosciuto e valorizzato, fino alla valorizzazione economica che oggi è del tutto assente.
Ma la strada di questo riconoscimento e valorizzazione non è quella che ha risollevato il dibattito di questi giorni, non è quella di fissare per decreto le ore di lavoro dei docenti. La strada è un’altra, è quella di far diventare l’insegnamento una libera professione. Dove per libera professione si intende: 1. che ogni docente deve avere la libertà di impostare e programmare il suo lavoro; 2. che spetta alla scuola mettere in atto strumenti per verificarne l’efficacia.
Ogni insegnante così diverrà responsabile del suo insegnamento, deciderà come programmarlo, come gestirlo, però sottoponendosi alla verifica di quello che fa. Non è che libertà significa che tutto va bene. Libertà significa prendersi la responsabilità di impostare il lavoro e sottoporsi al gradimento di chi ne usufruisce, studenti e genitori. Come si vede, è un’idea di insegnamento del tutto diversa da quella che vi è oggi dentro la scuola.