È raro trovare un buon romanzo scritto a quattro mani: pensiamo a Ellery Queen (pseudonimo di F. Dannay e M. B. Lee) o ai polizieschi di ambientazione svedese di Maj Sjöwall e Per Wahlöö, ristampati da Sellerio, che, con il loro poliziotto Martin Beck, già mostravano, negli anni Sessanta-Settanta, le crepe nelle “magnifiche sorti e progressive” del benessere garantito dal welfare svedese; o ancora, agli italiani Fruttero & Lucentini.
Ancora più raro è incontrare un romanzo, scritto a sei mani, da autori che, per giunta, non sono scrittori professionisti: I fantasmi dell’impero (Sellerio, 542 pp.) è infatti la prima fatica di tre amici di Roma. Marco Consentino è un esperto di relazioni istituzionali, Domenico Dodaro è un business lawyer, mentre Luigi Panella è un avvocato penalista. In comune, i tre hanno la passione per la storia, e, nello specifico, per la storia coloniale. Chiariamo subito: non si tratta di un banale giallone di ambientazione esotica, anche se, innegabilmente, la storia è centrata su un intrigo che ci verrà debitamente chiarito alla fine: I fantasmi dell’Impero è molto, molto di più.
Come ricordano gli autori stessi, il libro nasce da una chiacchierata, durante una cena, quando Luigi Panella, che trascorre il tempo libero fra biblioteche ed archivi, racconta a quelli che diventeranno i suoi due coautori, una storia incredibile ed emozionante: nei fascicoli del disciolto ministero dell’Africa Italiana ha trovato le tracce, rimaste segrete, di un’inchiesta condotta nel 1938 a carico di Gioacchino Corvo, un ufficiale accusato di atroci crimini di guerra nelle terre appena conquistate.
Le testimonianze però paiono contraddittorie, e si potrebbe ipotizzare che dietro questa inchiesta ci sia di più, molto di più; si potrebbe, addirittura, immaginare che questi documenti lascino intravedere i contorni di un complotto, ordito subito dopo l’attentato subito dal Viceré Graziani ad Addis Abeba nel febbraio 1937. La storia è appassionante, e i tre iniziano a raccogliere materiale, fino a costruire un archivio di dimensioni impressionanti: Luigi Panella, per esempio, in dieci anni ha collezionato oltre 20mila fotografie d’epoca; inoltre, quasi tutti i telegrammi e i dispacci riportati nel testo sono autentici, e dimostrano quella gli autori chiamano, giustamente, l’ossessione burocratica “per le precedenze, le numerazioni, le gerarchie e il cerimoniale”; ricostruiti con analoga acribia sono i combattimenti, le operazioni politiche e militari.
Valore aggiunto eccezionale, i protagonisti hanno nomi e volti autentici (vedere per credere l’inserto fotografico alle pp. 241-250), e questo dà al racconto, un sapore di vita vissuta che fa la differenza, perché Vittorio Valeri, l’ufficiale appassionato di fotografia, e Pietro Agosteo, che passerà indenne anche attraverso la guerra partigiana, hanno una faccia non realistica, ma reale.
Altre figure, invece, nascono dalla fantasia degli autori, ma sono ispirate a personaggi realmente vissuti: è il caso del protagonista, il colonnello Vincenzo Bernardi, modellato sulla figura del capo della Giustizia militare dell’Africa Orientale Italiana, Bernardo Olivieri, che indagò appunto sulle malefatte del capitano Corvo. Dunque, I fantasmi dell’Impero si apre nel momento in cui ad Addis Abeba arriva Bernardi per indagare sull’attentato al Viceré, e per sovrintendere alle esecuzioni punitive con cui si cercò di piegare la resistenza delle popolazioni locali.
Presto il colonnello capisce che c’è qualcosa di strano: ma non può sapere che, mentre indaga, sopra la sua testa, ad altissimi livelli, si stanno ordendo dei piani rispetto ai quali anche lui è una pedina, sacrificabilissima. Bernardi, con il fidato Valeri, dovrà arrivare fino al Goggiam, la regione dove Corvo ha perpetrato i suoi eccessi, e dove il sangue scorre ancora copioso, all’insaputa di tutti i civili in Italia, i quali credono che, dopo la proclamazione dell’Impero, il 9 maggio del 1936, tutto in Etiopia viaggi all’insegna della pace e dell’ordine.
Lo dice, interpretando la communis opinio, una compagna di collegio alla fidanzata del maggiore Valeri, preoccupata perchè da tempo non riceve notizie da Vittorio: “Ma no, avrai capito male, la guerra è finita da un pezzo, l’ha detto Mussolini, l’abbiamo visto anche oggi al cinegiornale, i soldati nostri sono lì a costruire strade (…) Ma che, c’è di nuovo la guerra in Etiopia e si dimenticano di dircelo? Ce ne sarebbe per sbugiardare il Duce, ti immagini? Lui che figura ci farebbe, dopo che ha detto che l’Impero è pacificato?”. E invece, si combatte eccome in Etiopia, e i fatti narrati richiedono in certi punti davvero uno stomaco forte, perchè le atrocità sono davvero tremende, e, purtroppo, documentatissime.
Ma, più che una disamina sul “cuore di tenebra” del colonialismo italiano, il romanzo rivela il suo cuore crudele nel cinico complotto politico che lo regge, e che gli autori, ovviamente, dichiarano di non poter provare storicamente, che qui non riveliamo, per non togliere il piacere della sorpresa finale, ma che è assai plausibile, e che rappresenta in fondo una sensata ipotesi, compatibile con l’opinione che la casa regnante doveva nutrire sul movimento fascista; opinione che nessuno ignora e che troviamo bene espressa in un punto caldo del romanzo, e cioè l’incontro fra Badoglio e Mussolini dell’8 novembre 1937: “Quasi imbarazzante (…)Pensava persino di sapere perchè Mussolini non si levava gli stivali: il Duce si sentiva basso (…) Il re sapeva tutto, ovviamente, e non si esprimeva, ma Badoglio era convinto che condividesse la sua idea: fin quando Mussolini avesse portato vittorie territori, titoli, ricchezze e consenso popolare, sarebbe stato il benvenuto (…) Quando non fosse servito più, se ne sarebbero liberati in una mattinata, con i suoi ridicoli Moschettieri”.
Come in ogni buona indagine, serve poi una trama parallela che abbia come argomento una storia d’amore: così, le vicende di Vittorio e Vincenzo sono inframmezzate da un vero e proprio “romanzo degli affetti”: dalla storia di Bruna, la fidanzata di Vittorio, collegiale timida e irreprensibile, e dalla vicenda disperata Emma, che rappresenta il côté sfortunato dell’amore.
I fantasmi dell’Impero piacerà a tutti i cultori della della storia italiana, e della fantapolitica, e a tutti quelli che vogliono un romanzo serio, non tirato via, non improvvisato, ma ben scritto, e con una serissima documentazione e un imponente lavoro di ricerca alle spalle.