Indipendentemente dalle prossime scelte di politica energetica, il problema delle scorie radioattive sarà uno dei temi ambientali più critici da affrontare in questo secolo.
Secondo la IAEA (International Atomic Energy Agency, ONU) si definisce scoria radioattiva “qualsiasi materiale per il quale non è previsto nessun impiego e che contiene radionuclidi in quantità superiori rispetto ai valori consentiti dalle autorità competenti per materiali impiegati in applicazioni non soggette a controllo”. Le scorie radioattive sono classificate in base al loro livello di radioattività e al tempo di emivita dei radionuclidi in esse contenute. Si definiscono scorie a vita lunga se il tempo di emivita è superiore a 30 anni, altrimenti si parla di scorie a vita breve.
Diverse indagini internazionali hanno osservato che le scorie radioattive a lunga durata, prodotte nei paesi che applicano un programma per l’energia nucleare, vengono effettivamente immagazzinate, benché si sappia che occorre una soluzione più definitiva. Al momento la soluzione più sicura sembra essere il deposito in siti geologici opportuni, o in siti temporanei in attesa della messa a punto di nuove tecnologie oppure dell’individuazione di siti definitivi. E le nuove soluzioni tecnologiche non mancano; ad esempio per quanto riguarda i materiali per l’isolamento.
Le problematiche legate allo smaltimento delle scorie radioattive sono essenzialmente due: la lunga durata della loro attività, da cui deriva la necessità di un isolamento dalla biosfera a lungo termine (da 10.000 a 1 milione di anni), e la loro capacità di produrre grandi quantità di calore; infatti le scorie radioattive possono raggiungere temperature superiori a 1000 °C. Queste problematiche comportano serie difficoltà nel trovare un materiale di confinamento per il loro stoccaggio.
Attualmente lo smaltimento delle scorie è realizzato prevalentemente tramite immobilizzazione con materiale inerte e successivo deposito in siti ritenuti idonei per fattori geologici e geografici. Cementi, vetri, ceramiche naturali e ceramiche sintetiche sono le matrici più usate. Le caratteristiche che rendono un materiale idoneo al confinamento di scorie radioattive sono: la resistenza alla degradazione (frattura e polverizzazione); la possibilità di accomodare grandi quantità di nuclidi radioattivi ( ~10% in peso) nella struttura; la buona resistenza all’irraggiamento; una stabilità termica superiore a 1000 °C; la realizzabilità dal punto di vista economico.
Una linea di ricerca promettente è orientata all’individuazione di matrici di confinamento in grado di incorporare nella propria struttura soprattutto isotopi radioattivi della famiglia dei lantanidi. Fluoro-apatite, sodalite e zeoliti sono alcuni tra i materiali inerti considerati adeguati a seconda della specie chimica in cui sono contenuti i nuclidi radioattivi (ossidi, nitrati, cloruri …). Infatti bisogna tener conto che la varietà di reattori in funzionamento nelle attuali centrali e il conseguente impiego di opportune tipologie di materiale fissile, comporta la produzione di scorie in diverse specie chimiche (ossidi, fluoruri, cloruri…).
In particolare è la fluoro-apatite (più precisamente Ca5(PO4)3F) a presentare caratteristiche che ne fanno un ottimo candidato soprattutto per il confinamento dei radionuclidi contenuti nei fluoruri: infatti tale minerale è molto stabile ad alte temperature e ha scarsa solubilità in acqua.
A conferma di questo, esiste in natura una prova della sua stabilità chimica e resistenza all’irraggiamento. Si tratta del più celebre caso di “reattore naturale”, quello di Oklo (Gabon), dove oltre due miliardi di anni fa si sono realizzate naturalmente tutte le condizioni necessarie per l’accensione di una serie di reazioni a catena; questo sito, tuttora ricco di uranio, contiene apatite che ha mantenuto la propria struttura cristallina.
Un’ulteriore caratteristica interessante della fluoro-apatite è la capacità di incorporare ioni all’interno della propria struttura. Inoltre, il ritrovamento in natura di molti minerali di fluoro-apatite contenenti ioni delle terre rare ne ha suggerito la possibilità di utilizzo in molte applicazioni: come catalizzatore nella chimica dei fosfori, come fonte di acido fosforico, nei laser a ioni e nelle lampade a fluorescenza, in applicazioni geologiche e anche biologiche.
Negli ultimi anni ci sono stati molti studi riguardanti l’uso di fluoro-apatite quale matrice di confinamento per scorie radioattive. Al Politecnico di Milano, ad esempio, è stato sviluppato un metodo di sintesi allo stato solido per polveri di fluoro-apatite drogate con ioni di terre rare, le quali costituiscono i prodotti di fissione che si accumulano nel combustibile nucleare durante il funzionamento del reattore.
Recenti indagini con diversi metodi (spettroscopia con misure di radio-luminescenza, diffrazione a raggi X e scattering Raman) hanno potuto approfondire l’analisi della struttura dei campioni sintetizzati verificando la fattibilità dell’incorporazione di terre rare, in particolare il Gadolinio, in polveri di fluoro-apatite ottenute attraverso la sintesi allo stato solido.