Esseri viventi fra loro diversi come le piante, gli animali, i funghi e i protozoi sono accomunati da alcuni fondamentali elementi della loro organizzazione cellulare. Le cellule umane, infatti, come quelle di qualsiasi vertebrato o invertebrato, di qualsiasi vegetale, o addirittura come quelle di una ameba o del lievito di birra, sono dotate di un articolato sistema interno di membrane le quali, ripiegandosi su se stesse, definiscono diversi compartimenti sub-cellulari.
Il più evidente di questi è il nucleo, delimitato da un involucro a doppia membrana, all’interno del quale è racchiuso il materiale genetico sotto forma di alcune molecole di DNA, i cromosomi. Gli organismi viventi le cui cellule sono dotate di nucleo si definiscono eucarioti; una simile compartimentazione interna invece non esiste nelle più semplici cellule batteriche (dette anche procariotiche), nelle quali il DNA non è separato dal resto del contenuto cellulare.
La segregazione nel nucleo del materiale genetico presenta numerosi vantaggi, ad esempio la possibilità di un rigoroso controllo della manutenzione e duplicazione del DNA, ma pone anche un serio problema di natura logistica alle cellule degli eucarioti. Consideriamo infatti alcuni tipici processi della vita di una cellula: le molecole di RNA (molecole simili al DNA, che fungono da messaggeri per la sintesi delle migliaia di proteine necessarie alla vita cellulare) vengono generate nel nucleo, mediante il processo detto di trascrizione del DNA; mentre la sintesi vera e propria delle proteine avviene fuori dal nucleo, nel citoplasma: qui complessi macchinari macromolecolari, i ribosomi, utilizzano le molecole di RNA messaggero come stampi per la sintesi delle proteine corrispondenti.
Come fanno le molecole di RNA messaggero ad attraversare l’involucro nucleare per portarsi nel citoplasma? Inoltre, esiste anche un traffico nella direzione opposta. Molte proteine, ad esempio, devono passare dal citoplasma, dove avviene la loro sintesi, al nucleo, all’interno del quale devono svolgere la loro funzione. Tutto l’intenso traffico di macromolecole dal nucleo al citoplasma e viceversa avviene attraverso complicate ed eleganti strutture, i pori nucleari, che punteggiano a centinaia l’involucro membranaceo del nucleo.
Il complesso del poro nucleare è uno dei più grandi, affascinanti e inesplorati edifici multiproteici delle cellule eucariotiche. Basti pensare che un singolo poro nucleare è costituito da almeno 456 molecole proteiche (una singola molecola proteica è costituita a sua volta da diverse migliaia di atomi legati fra loro) denominate nucleoporine, di circa trenta tipi diversi. Queste molecole si associano fra di loro secondo un’architettura altamente simmetrica, a formare una struttura saldamente ancorata alla membrana del nucleo e, nello stesso tempo, aperta al passaggio controllato di macromolecole (proteine, RNA, o addirittura parti dei ribosomi) nell’una direzione o nell’altra. Due studi recenti, condotti negli Usa da gruppi di ricerca del Massachusetts Institute of Technology (Cambridge, MA) e della Rockefeller University (New York, NY), e pubblicati il mese scorso sulle prestigiose riviste Science (n. 322, pag. 1369-1373) e Molecular Cell (n. 32, pag. 815-826), hanno cominciato a far luce sull’intima struttura del complesso del poro nucleare, sulla sua origine e sul suo funzionamento.
Entrambi gli studi si sono concentrati su alcune delle nucleoporine che fanno parte dell’impalcatura centrale del poro. Complessi ordinati di queste proteine, che corrispondono a moduli strutturali elementari del poro stesso, sono stati purificati e cristallizzati. La successiva analisi della diffrazione dei raggi X da parte dei cristalli –una strategia sperimentale ampiamente utilizzata in biologia strutturale- ha permesso ai ricercatori di costruire dei modelli tridimensionali estremamente dettagliati (fino ai singoli atomi) dei complessi di nucleoporine. Sulla base di questi modelli, è stato possibile intravedere per la prima volta la forma dell’impalcatura del poro nucleare: una sorta di steccato flessibile richiuso a cilindro, in grado di adattare le dimensioni del suo canale interno a quelle del materiale in transito e aderente come un rivestimento alla membrana in cui si trova immerso.
L’impalcatura del poro nucleare può essere vista quindi anche come una forma di rivestimento proteico della membrana, molto specializzato ma fondamentalmente simile ad altri rivestimenti proteici che si ritrovano abbondantissimi nelle cosiddette “vescicole rivestite”, minuscole e mobilissime capsule membranacee che affollano il citoplasma di tutte le cellule eucariotiche e sono fondamentali per lo smistamento continuo di proteine e porzioni di membrana fra i diversi organuli e compartimenti sub-cellulari.
Gli studi descritti, avviando a una comprensione piena della anatomia molecolare del poro nucleare, permetteranno di affrontare interrogativi ancora più ardui. Come avviene nelle cellule l’assemblaggio ordinato di strutture così complesse? In che modo viene regolato il loro temporaneo smontaggio? E la conseguente frammentazione in vescicole dell’involucro nucleare al momento della mitosi, quando da una cellula se ne generano due aventi lo stesso materiale genetico? E che cosa guida, in seguito, la ricomposizione di un involucro nucleare completo di tutti i suoi pori, e in definitiva di un nuovo nucleo, in ognuna delle due cellule figlie? Queste domande rimandano, in fondo, ad uno dei temi più centrali e affascinanti della biochimica cellulare: come avvenga che le cellule, in ogni istante del loro tempo e in ogni punto della loro estensione spaziale, non cessino di costruire perfettamente se stesse, di riaffermare infallibilmente la propria forma.