Dante arrivò in Russia. E la conquistò.
L’approdo “ufficiale” del testo della Commedia in Russia risale al 1757, quando un’edizione dell’opera venne portata in dono alla zarina Elizaveta Petrovna dal conte Cristoforo Zapata de Cisneros. Nei primi anni del XIX secolo cominciò una lunga serie di traduzioni in russo della Commedia, alcune integrali e altre circoscritte a singoli episodi del poema, traduzioni che aumentarono di numero e di qualità col passare degli anni, per arrivare all’insuperato lavoro del poeta Michail Lozinskij: questi, su incarico di Maksim Gor’kij, realizzò una delle più grandi ed acclamate traduzioni russe di un’opera straniera.
Molto vasto è anche il panorama degli studi danteschi ad opera di studiosi russi, e attivo, fin dalla seconda metà del XIX secolo, il fervore culturale intorno al poeta fiorentino: basti pensare che nel 1921, in piena ascesa del regime leninista, si tennero a Mosca e a san Pietroburgo le solenni celebrazioni del sesto centenario della morta di Dante, con manifestazioni, incontri e concerti.
Ma, al di là di tutto questo, è possibile senza dubbio affermare con il grande dantista Ettore Lo Gatto che «l’influenza di Dante in Russia si è fatta sentire attraverso l’attività dei poeti e degli scrittori». Dante, cioè, agì come una sorta di “reagente” nella poesia e nella letteratura russa, condizionando le opere dei protagonisti dei cosiddetti “secolo d’oro” e “secolo d’argento” della poesia russa. Si può dire che Dante in Russia sia stato letto, assunto e rivissuto, più che analizzato, studiato e vivisezionato, cosa che invece è accaduta così spesso in Italia.
Si tratta di approcci diversi, certamente, determinati da finalità diverse, e non è possibile dire definitivamente se uno sia migliore dell’altro. Quel che è certo è che Dante, in Russia, viene incontrato “visceralmente”, più che intellettualmente. Rivestito di un’aura simbolica, misteriosa e misticheggiante, considerato il poeta per eccellenza, egli è punto di riferimento per la vita e per le opere di quasi tutti i più grandi poeti russi. E forse questo suo successo in terra russa è dato proprio dal suo coraggio nel discendere fino in fondo all’Inferno, cioè fino alla radice del male dell’uomo, consapevole del fatto che solo così, e con la certezza di una guida sicura, è possibile intraprendere il cammino della redenzione che porta l’uomo fino alle altezze di Dio. Una coscienza del genere non può non portarci a pensare a certi “abissi umani”, infernali e paradisiaci, raggiunti dagli uomini protagonisti delle poesie e dei romanzi russi.
I più grandi recettori di Dante in Russia dunque sono i poeti: e sarà il grande Aleksandr Puškin a fare da battistrada, mutuando da Dante temi (Paolo e Francesca, episodio echeggiato nell’Evgenij Onegin) e tratti stilistici (la terzina detta “dantesca”).
Dopo di lui, ci sarà chi sottolineerà maggiormente le vicende biografiche di Dante, sulla scia di ideali più o meno romanticheggianti, e lo eleverà a simbolo del poeta esule in lotta per la libertà, la giustizia e la patria (Kjuchel’beker, Herzen); e ci sarà chi invece farà della Commedia un ingrediente essenziale della propria opera, raccogliendo a piene mani dal poema temi, citazioni, addirittura il personaggio stesso di Beatrice, e disseminandoli per i propri componimenti (Bal’mont, Brjusov, rappresentanti della prima generazione dei simbolisti).
Anche il grande filosofo Vladimir Solov’ev, pur senza ammetterlo esplicitamente, si ispirò alla poetica di Dante e alla figura di Beatrice per sviluppare diversi aspetti della sua filosofia (il concetto di Sofia, l’idea dell’Eterno Femminino, l’impostazione generale del suo pensiero sul numero tre…), aprendo le porte all’interpretazione di Dante della seconda generazione dei simbolisti russi, all’inizio del XX secolo. Fra di loro, Aleksandr Blok intraprenderà un confronto umano con Dante forse unico rispetto agli altri.
In soli quattro anni (1904-1909), Blok comincia cantando alla sua Prekrasnaja Dama (la “Bellissima Dama”), idealizzazione quasi divinizzante della moglie Ljubov Mendeleeva (figlia del grande chimico), additando senza ombra di dubbio l’esperienza di Dante nella Vita Nova, per poi giungere a un totale sovvertimento: il tormentato rapporto con la moglie, fatto di incomprensioni e gelosie, finirà per trasformarsi in un dramma che troverà la sua espressione nel Pesn’ Ada (Canto d’Inferno). Qui l’amore è tragedia, la poesia stessa è tormento e inferno, è una chiamata ad altezze insostenibili per l’uomo. La “Bellissima Dama” cede in questi versi il posto a una donna sconosciuta e prostituta, e l’amore è divenuto un atto eternamente peccaminoso, la cui descrizione echeggia chiaramente l’amore passionale ma effimero di Paolo e Francesca e il “folle volo” di Ulisse. Il viaggio di Dante è rivissuto al contrario.
In questo clima di confronti ideali e biografici con Dante, di suggestioni poetiche e a volte di vere e proprie mistificazioni letterarie riguardo alla poesia dantesca, emerge una figura che si differenzia da tutte le altre, quella del poeta Osip Mandel’stam.
(1 − continua)