PREMIO NOBEL PER LA FISICA 2017. La notizia era di quelle facilmente prevedibili; si può dire che nessuno scienziato dubitava del fatto che il premio Nobel per la fisica 2017 sarebbe andato a coloro che hanno guidato gli esperimenti che il 14 settembre 2015 hanno permesso di captare per la prima volta le onde gravitazionali. Anche i tre vincitori quindi se lo aspettavano; anzi forse se lo aspettavano già l’anno scorso e forse temevano di fare la fine di Einstein: il padre della teoria della relatività infatti non ricevette il Nobel nel 1921 per la sua scoperta, della quale le onde gravitazionali sono una spettacolare conferma, benché all’epoca ci fossero delle prove robuste a suo favore.
Così i tre fisici che a dicembre andranno a Stoccolma a ritirare l’ambito riconoscimento hanno avuto più di un anno per prepararsi all’annuncio e per raccogliere il materiale migliore da mostrare al pubblico di tutto il mondo nei prevedibili numerosi tour che li vedranno impegnati a spiegare ai colleghi ma anche al grande pubblico il valore di questa scoperta e le sue conseguenze nel nostro modo di studiare e comprendere il cosmo e la sua storia. I tre sono il tedesco Rainer Weiss, al quale andrà metà del premio, e gli americani Barry C. Barish e Kip S. Thorne che si divideranno l’altra metà dei 9 milioni di corone svedesi.
Le ragioni di questa ripartizione asimmetrica sono da rintracciare nelle motivazioni indicate dal comitato Nobel: “per i decisivi contributi al rivelatore LIGO e alle osservazioni delle onde gravitazionali”; sì perché il vero premiato quest’anno è sostanzialmente LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory, cioè Osservatorio di onde gravitazionali con Interferometro Laser) e lo sono anche i più di mille ricercatori da una ventina di Paesi, compresi non pochi italiani, che hanno lavorato e lavorano alla LIGO/VIRGO Collaboration, cioè al progetto basato sui tre interferometri situati a Livingston, in Louisiana, e ad Hanford, nello stato di Washington (i due di LIGO) e a Cascina di Pisa (quello di Virgo).
È quindi “più un premio alla tecnologia applicata alla scienza” dice a ilsussidiario.net Remo Ruffini, autorità riconosciuta a livello mondiale nell’astrofisica relativistica; il che non toglie nulla al valore di una scoperta e alla grandezza della teoria di Einstein che ha saputo descrivere un universo dove l’improvvisa esplosione di una stella o il collasso di un buco nero provocano quelle vibrazioni del tessuto quadridimensionale che giungono fino a noi appunto sotto forma di onde gravitazionali. Il colossale apparato sperimentale LIGO/VIRGO basato sul principio dell’interferometria, è stato concepito come mezzo per catturare le fantomatiche onde nei primi anni 70 al MIT di Boston da Weiss, che per questo riceve la metà del premio; è stato poi supportato e sviluppato da Thorne al Caltech (California) e portato a termine da Barish sempre del Caltech.
Ruffini ricorda che la teoria einsteiniana della gravitazione è già salita sul podio dei Nobel in altre occasioni e in particolare nel 1993, quando Russell A. Hulse e Joseph H. Taylor Jr. sono stati premiati per la scoperta delle pulsar binarie dando una prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali. Con LIGO/VIRGO abbiamo le prove dirette e la decisione del comitato Nobel di premiarlo è la consacrazione ufficiale della loro esistenza.
Adesso lo sguardo è rivolto al futuro e alle interessanti prospettive che si aprono nello studio del cosmo. Ora che sappiamo rivelarle, possiamo utilizzarle per raccogliere informazioni dai luoghi e dai tempi dell’universo dai quali provengono: le onde diventeranno quindi preziose sonde per indagare zone e fenomeni altrimenti inaccessibili. Come spiegava al Meeting di Rimini nel 2016, pochi mesi dopo l’annuncio della scoperta, Laura Cadonati, scienziata con un ruolo di punta nella collaborazione LIGO/VIRGO, “Per la prima volta abbiamo ascoltato i suoni dell’universo. Dico abbiamo ascoltato ‘suoni’ tra virgolette, perché queste non sono onde acustiche, sono onde gravitazionali, ma così abbiamo aperto una nuova finestra sull’universo. Ora questi segnali, portano informazioni diverse da quelle che abbiamo già: le onde elettromagnetiche ci dicono alcune cose dell’universo, le onde gravitazionali ci danno un senso diverso; se ci pensate la nostra percezione della realtà viene dal vedere e dall’ascoltare: noi prima vedevamo l’universo, ora lo possiamo anche ascoltare. E quindi questo è l’inizio di un nuovo modo di fare astrofisica”.
Non si può proprio dire che agli astrofisici manchino le informazioni: non si tratta più solo di osservare il cielo e decifrare i puntini luminosi che lo costellano: i segnali luminosi che hanno da sempre attratto e affascinato l’uomo sono veicolati dalle onde elettromagnetiche, “adesso però abbiamo anche le onde gravitazionali, abbiamo i neutrini e tutti questi sono diversi messaggeri che ci danno diverse informazioni sull’universo attorno a noi. Siamo ormai entrati nell’epoca della multi-messenger astronomy, un’astronomia fatta con diversi tipi di messaggeri”.
Lo studio dei messaggeri spinge a indagare la sorgente dei messaggi. Nel caso delle onde gravitazionali è interessante cercare di capire la natura fisica degli oggetti che le generano. “C’è ormai – dice Ruffini – una ampia casistica di buchi neri in formazione che si possono studiare osservando i lampi gamma (i Gamma Ray burst): ce n’è quasi uno al giorno e ci danno una notevole quantità di informazioni. Interessante in particolare è l’osservazione di buchi neri in formazione associati alla transizione da una supernova a una ipernova (un oggetto mille volte più potente di una supernova). Sono osservazioni svolte sia da satelliti come Fermi e Swift sia dai grandi telescopi terrestri come quelli in Cile”.
Emerge così una valenza ancor più significativa delle immagini che tutti i telegiornali hanno diffuso, della simulazione della collisione dei due buchi neri che 1,3 miliardi di anni fa hanno messo in moto le onde gravitazionali raccolte da LIGO nel 2015 e recentemente captate anche da VIRGO in Italia. “Una volte che conosciamo bene questi oggetti, avendoli visti nascere, diventa naturale andare a vedere le eventuali onde gravitazionali e cercare di captarle. Ma il fatto più interessante è che ormai la verifica della teoria della relatività è continua, quasi quotidiana”.
Di queste verifiche si parlerà nel luglio prossimo a Roma nel 15esimo Marcel Grossmann Meeting, il summit mondiale della relatività generale del quale Ruffini è chairman e che vedrà i tre nuovi Nobel, o almeno uno di loro, come ospiti d’onore.