Il formato, almeno è nuovo: tempi di crisi, tempi di dematerializzazione… anche il plico della prima prova dell’esame di maturità si adegua, sei facciatine in tutto, due A4 piegati a metà in un fascicoletto discreto, molto discreto rispetto alle pompose risme di fogli cui l’esame ci aveva abituato. Certo, i caratteri sono piccoli, ma sono fatti per occhi giovani, vivaddio, non affetti da presbiopia. Insomma l’agile quartino, che non ingombra il banco e fa risparmiare pure la graffetta metallica, fa buona impressione, quasi una doverosa ammenda dopo tanta prolissità ministeriale, così fastidiosamente esorbitante rispetto ai testi cui doveva servire da stimolo.
Quest’anno gli elaborati degli allievi tornano ad essere più voluminosi delle tracce, e ciò è bene. Tanto più che il restringimento non riguarda solo il formato, anche le tracce in sé sono molto più asciutte: cinque quesiti in tutto per l’analisi del testo, da due a quattro testi per il tipo saggio/articolo. Come se si volesse contrastare la pratica del collage forsennato e inconcludente, frutto di pigrizia o di ansia, e lasciare davvero spazio al candidato, alle sue considerazioni e ai suoi apporti.
Forse questo è l’aspetto più positivo: i documenti offerti in effetti sono un po’ pochi per produrre un’argomentazione consistente, cosicché l’apporto di riferimenti culturali del candidato diventa necessario. Speriamo che ciò abbia guidato a scelte sagge, orientando verso argomenti già noti, almeno un po’. I due temi, in compenso, storico e generale, presentano tracce articolate: in entrambi i casi, un testo, notizie sul suo autore, quesito. Nel complesso, i due temi differiscono poco dall’analisi del testo e accorciano le distanze anche rispetto al saggio/articolo.
In tutti i casi abbiamo testi da commentare, in numero non troppo difforme, mentre nemmeno la tipologia A chiede un’analisi in senso tecnico, ma allarga il discorso a una tematica generale. Del resto, visto che le medesime tracce vengono proposte a tutti gli studenti italiani, quale che sia il loro percorso di studi, la scelta appare ragionevole: in definitiva si chiede a un giovane di diciannove anni di dimostrare di essere in grado di svolgere, in italiano più o meno ricco, comunque corretto, una riflessione su un tema che non può non riguardarlo, come uomo e come cittadino, facendo tesoro, per quanto possibile, di ciò che ha studiato.
A lui la scelta tra un argomento di interesse più marcatamente civile o più connotato in senso esistenziale: il passaggio dall’infanzia alla maturità, il senso esistenziale della letteratura, i problemi connessi alla definizione della cittadinanza nel XXI secolo, il nostro essere parte del Mediterraneo, con la sua stringente e dolorosa attualità, croci e delizie dello sviluppo tecnologico, la Resistenza, l’istruzione come possibilità di riscatto.
Difficile pensare che un giovane appena un po’ consapevole non trovi elementi di interesse e sintonia con uno almeno di questi argomenti; difficile negare che coltivare questo genere di consapevolezze sia un compito fondamentale della scuola e insieme un tratto irrinunciabile di un giovane impegnato con la propria vita. Difficile anche non valutare positivamente il fatto che le tracce dell’esame, via via liberate da ambizioni tecnicistiche, puntino più esplicitamente in questa direzione.
Poi, certo, tra le righe si nascondono le trappole del luogo comune, della mentalità dominante, come nei vecchi temi, cui pian piano si ritorna. Ma per evitarle davvero forse c’è un’unica via: proporre ai candidati una scelta di testi di vario argomento ma tutti di alto valore letterario (solo l’alto valore letterario infatti si sottrae a semplificazioni, schematismi, ricette ed etichette) e affidarli al suo libero commento senza aggiungere nemmeno una parola.