I metodi di modellizzazione numerica e matematica stanno invadendo in modo trasversale discipline e oggetti di studio anche profondamente diversi fra loro. La trasversalità dei metodi e degli approcci ha consentito nuove modalità di esplorazione in campi di ricerca già storicamente caratterizzati per quanto riguarda le metodologie di indagine. Questa diffusione di un approccio nuovo e storicamente più legato alle scienze fisico-matematiche e computazionali si sta rivelando foriera di possibilità inedite di conoscenza e intervento sul reale.
Gli impressionanti risultati che si possono ottenere, frutto della inaudita potenza dei mezzi di calcolo a disposizione dei ricercatori e della fantasia con cui si standardizzano metodi uguali in campi di conoscenza fra loro differenti, in qualche modo costringono a una riscoperta del desiderio di tutti gli uomini di conoscere e possedere “le cose”.
Da un lato infatti la modellizzazione obbliga a ri-sottolineare l’importanza del ruolo dell’immagine nel cammino della conoscenza. Per quanto complessa e sofisticata, infatti, l’immagine che ci facciamo ci guida sempre nella comprensione del reale, mentre il ricercare modelli che spieghino i vari fenomeni e permettano di governare situazioni complesse fornendo uno spettro di previsioni ragionevoli è un tratto inesauribile intrinseco alla ragione umana. La ragione, infatti, non sarebbe tale se non vivesse la continua speranza di rintracciare una spiegazione di quanto avviene in noi e intorno a noi.
Dall’altro lato, la capacità di modellizzazione tramite procedimenti fisico-matematico-computazionali ci permette una nuova possibilità di intervento, previsione e progettazione, rispondendo all’inesauribile bisogno umano di porre in essere qualcosa di nuovo e sempre più corrispondente a un’immagine di bene per sé e per il mondo.
È stato impressionante andare a “toccare con mano” questa duplice tensione umana al comprendere e al creare nell’appuntamento che una ventina di studenti universitari della rete Camplus (in larga maggioranza ingegneri, con la presenza di informatici, matematici e fisici) si sono dati venerdì e sabato scorsi presso il Collegio Città Studi a Milano, per un workshop dal titolo “Complessità, modelli e creatività”.
Le due giornate hanno proposto un programma intenso e approfondito, che ha visto la partecipazione di professori e ricercatori: Edie Miglio e Marco Beghi del Politecnico di Milano, Sergio Castellari dell’Istituto di Geofisica e Vulcanologia del CNR, Lilia Alberghina e Giovanni Zambon dell’Università di Milano Bicocca, Andrea Pascucci dell’Università di Bologna, Paolo Cappelletti, Andrea Ghetti e Andrea Marmiroli della sezione R&D della Micron di Agrate.
Man mano che le relazioni si susseguivano, i presenti si sono potuti rendere conto pienamente di quanto avanzate e sofisticate siano diventate le capacità umane di modellizzare e prevedere il comportamento della natura (come avviene nella moderna climatologia), di creare prodotti nuovi sempre più performanti (come il caso di Alinghi, la barca campione di Coppa America) o innovativi (come i nuovissimi transistor a memoria di forma realizzati da Micron), e di come le tecniche di modellizzazione stanno invadendo campi non canonici come la biologia e la finanza.
Il dialogo che si è sviluppato fra i relatori e gli studenti ha messo in luce alcuni punti nodali per il cammino delle scienze moderne. Da questo punto di vista l’introduzione di Edie Miglio del MOX- Politecnico di Milano ha focalizzato l’attenzione su due aspetti cruciali, che sono poi emersi nelle relazioni successive: il primo è che il modello osservazione-ipotesi-esperimento-revisione unanimemente accettato per le scienze sperimentali sta modificandosi proprio per l’invadenza delle tecniche di modellizzazione.
Fra l’osservazione e la verifica sperimentale ormai non c’è più solo l’ipotesi, ma un complesso lavoro di modellizzazione che permette di fare previsioni ed eventualmente scartare setup sperimentali non adeguati. Il modello e la virtualizzazione di setup sperimentali possibili consentono di scartare preventivamente esperimenti che non sarebbero adeguati alla verifica dell’ipotesi teorica. E questo senza realizzare l’esperimento (quindi risparmiando soldi, tempo e fatica). Il secondo aspetto è l’invadenza delle tecniche di modellizzazione: si affaccia l’idea che le tecniche di modellizzazione stiano erodendo spazio al lavoro sperimentale e a quello teorico, potenziando e semplificando le possibilità di verifica e di ipotesi sui fenomeni. Ci si può chiedere se la capacità matematico-modellistica potrà mai sostituire il lavoro teorico o sperimentale al cuore della ricerca.
Ciò è semplicemente impossibile, in quanto qualsiasi modello parte da dati legati più o meno direttamente alla realtà e deve “tornare” alla realtà per trovare la conferma ultima; ma soprattutto non può fare accadere ciò che continuamente rilancia l’attività del ricercatore, ovvero l’imprevisto. Se pensiamo a Cristoforo Colombo, la cosa risulta chiara: Colombo aveva un’immagine del mondo, e pensava che questo modello di mondo gli avrebbe consentito di arrivare nelle Indie partendo dal Portogallo. Nel suo viaggio si è imbattuto in qualcosa che non poteva prevedere, il continente americano, anche se i fondamenti del suo modello erano giusti. Così accade nella scienza, e gli esempi sarebbero innumerevoli.
Le riflessioni serali di Marco Beghi sulla vicenda di Galileo hanno invece reso evidente come l’interpretazione dei dati a disposizione sia questione cruciale: la pura raccolta dei dati non dà informazione. Il soggetto che rischia una interpretazione è colui che dai dati struttura una nuova immagine del mondo e quindi può sovvertire quanto dato per assodato dal contesto culturale contemporaneo.
Le relazioni sugli aspetti specifici hanno indicato con decisione ai presenti l’immagine di un progresso nelle modalità stesse di avanzamento delle scienze. Le capacità di modellizzazione e calcolo stanno modificando il modo con cui le scienze avanzano, e invadono campi sempre più lontani. Ma perché accade questo? Una domanda posta da uno degli studenti ha permesso un approfondimento in tal senso: “è meglio la matematica pura o applicata?”. La vera scoperta dei due giorni è uno dei misteri più profondi e affascinanti della conoscenza umana. È la scoperta della matematica come linguaggio adeguato di descrizione del reale, cioè della corrispondenza fra le nostre capacità razionali e la struttura profonda del reale, dato sorprendente e non “necessario”. Come diceva Einstein in un famoso passaggio: “La cosa più incomprensibile dell’universo è che esso sia comprensibile”. Perciò che si possa essere più attirati dagli aspetti formali o dalle tecniche più computazionali-iterative, non si può ignorare il fatto che sempre di matematica si tratta.
La ricchezza delle relazioni ha aperto domande profonde, che arrivano a interrogare criticamente e in modo nuovo le modalità stesse del nostro rapporto con il reale. La realtà, infatti, si rivela più profonda di quanto i nostri modelli possano semplificando mostrare: complessità, limiti tecnologici (come la mancanza di sufficiente potenza di calcolo), o limiti intrinseci (come le necessarie approssimazioni) non riescono a eliminare definitivamente il gap fra l’immagine ricostruita e il reale in sé. Nonostante questo gap, però, l’uomo non può non intraprendere questa impresa.