Qualcuno spera forse di essere salvato in extremis da un consiglio di classe pietoso, qualcun altro invece se l’aspetta con una sorta di rassegnazione; per tutti comunque una delusione. Perdere un anno, così si dice, non piace a nessuno. Se pure ci fosse un ragazzo che vuol far vedere che non gli interessa niente, non dobbiamo credergli. Gli interessa eccome, e gli dispiace, solo che non vuole ammetterlo di fronte agli altri, soprattutto ai genitori, ma anche agli amici che invece proseguono per la loro strada e lo lasciano indietro.
Ma come stare davanti a una bocciatura? I genitori stessi spesso si smarriscono, si sentono confusi sul da farsi e sull’atteggiamento da tenere. E così invece che offrire giudizio e sostegno, cadono anche loro. Alcuni tendono ad eccedere nei toni, provvedendo a punizioni e umiliazioni, altri invece si buttano dall’altra parte, facendo addirittura regali per paura che il ragazzo si scoraggi troppo.
Il tema è complesso e delicato. Molte sono le variabili in gioco: il tipo di scuola scelto (che può essere stato più o meno adeguato alle capacità del ragazzo), il corpo docente (che può non avere dato il meglio di sé durante l’anno, mancando di offrire reali opportunità di recupero), e ovviamente il ragazzo stesso.
Qui ci interessa parlare proprio del ragazzo che non ha lavorato e che arriva alla bocciatura avendoci messo tanto del suo. Non sono pertanto in discussione le sue capacità e nemmeno il fatto che non si trovi nell’indirizzo giusto. Occorre invece ripartire dal concetto di sanzione, legato in qualche modo al nesso atto-risultato.
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A fine anno si raccolgono i frutti di quel che si è investito: se il lavoro è stato nullo o insufficiente, i risultati non possono garantire il passaggio alla classe successiva. Tutto qui, null’altro di più. Non si tratta di un verdetto sul ragazzo in sé, ma solo un giudizio sul suo operato. Non è stupido lui, è stato stupido non studiare.
Perché possa davvero recuperare è necessario che il giovane faccia suoi questi passaggi, senza la necessità di subire scoraggianti mortificazioni. Quando l’adulto pensa ad una punizione è anche bene che si renda conto che, in un certo senso, la bocciatura è già di per se stessa una punizione, che dispiace e in molti casi addolora.
Avrei soprattutto la prudenza di evitare quei provvedimenti che sottraggono il ragazzo ad ambiti che possono invece aiutarlo, penso qui a vacanze con amici fidati o alla partecipazione ad attività sportive di squadra. Non sarà isolandolo che lo si aiuterà a riprendere. Piuttosto il ragazzo ha la necessità di avvertire che non è stato fermato per un dispetto o per una congiura, ma perché invece di lavorare ha contro-lavorato, ossia si è mosso perché le cose non andassero bene.
A questo punto gli viene chiesto un passo personale che è innanzitutto di giudizio su ciò che è accaduto o meglio su ciò che non è accaduto e poi almeno l’intuizione, la pensabilità di un futuro possibile, che non sia la condanna inevitabile a un’inutile replica del passato. Questo però deve pensarlo e crederlo prima l’adulto.
Anche ai genitori è quindi chiesto un passo. È menzognero dire che non è successo nulla, ma non è neanche accaduta una tragedia familiare. Il rischio di desumere l’insuccesso esistenziale da quello scolastico è sempre altissimo, così come desumere un destino di infelicità da una bocciatura.
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Occorre riuscire a guardare a questo momento con la prospettiva di una vita intera, per la quale uscire dalla scuola un anno prima o uno dopo conta davvero poco. Quel che fa la differenza è come si esce, competenti e capaci di investire sulla realtà, e il tipo di esperienza che si è fatta. Certo il figlio ideale che abbiamo in testa va sempre bene, non prende insufficienze e di sicuro non si fa bocciare: lo scarto con una realtà lontana dalle nostre aspettative può a volte essere vissuto con tanto scandalo da annebbiare la mente e appannare la vista.
Ma è proprio questo che dobbiamo superare. Non solo perché un tale sguardo verso il figlio non ci permette di condividere la soddisfazione che magari può arrivare da altro che non sia l’esclusivo ambito scolastico, ma anche e soprattutto perché fa del male a lui. Vivere nel continuo paragone con un ideale irraggiungibile e nella certezza di deludere sempre i propri maggiori genera nei giovani proprio quell’insicurezza, quella scarsa stima di sé e sfiducia nelle proprie capacità che non permette loro di riuscire bene nella vita, non solo a scuola.
Si rischia di convincerli davvero che sono degli inetti, quando non lo sono affatto. È un certo circolo vizioso in cui si continua a rimarcare le incapacità fissando il ragazzo su un pensiero di fallimento senza consentirgli di riprendere a investire le sue energie per il proprio successo.
Di fonte a una bocciatura c’è bisogno di un adulto che rilanci, non che affossi. Non scoraggiamo questi ragazzi allora, piuttosto sosteniamoli. Perché davvero non ripetano un anno, ossia gli errori già fatti, ma a settembre riescano a sperimentare il fascino di un nuovo inizio carico di possibilità e di attesa.