Cari genitori, se avete avuto modo di vedere i dati dell’inchiesta condotta da Aied su 1000 ragazze genovesi è difficile che i risultati vi abbiano lasciato indifferenti. Leggere che il 94 per cento delle ragazze fra i 14 e i 16 anni ha già avuto un rapporto sessuale può avervi stupito, così come preoccupato il dato che il 18 per cento non abbia usato contraccezione e il 23 per cento lo abbia fatto con sconosciuti o giù di lì. Possiamo sempre pensare che il campione non sia stato scelto bene, che la numerosità sia esigua, che magari la metodologia dell’indagine abbia delle falle, che un conto sono i ragazzi nella loro globalità e un conto il singolo soggetto, che non dobbiamo generalizzare troppo, che esistono anche tanti ragazzi che la pensano diversamente, ma non possiamo mettere la testa sotto la sabbia e negare che l’età del primo rapporto si è significativamente abbassata. Di sicuro per quelle mille ragazze di Genova.
Cosa sta succedendo, verrebbe da chiederci. E sarebbe anche una domanda sensata se non avessimo la risposta sotto gli occhi, tutti i giorni. Si tratta della sopravvalutazione della questione sessuale. I ragazzi si buttano via non perché si sia smarrito il valore del sesso che si sarebbe, per così dire, svalutato e banalizzato. È accaduto piuttosto il contrario: è stato sopravvalutato, ingigantito, ipertrofizzato. Ci si pensa troppo, è avvenuta un’invasione del pensiero come un tranquillo e pacifico villaggio investito da un’orda di barbari. In altre parole, ci si è fissati su “quello”, tanto che un banale pronome dimostrativo ha assunto per molti, se non per tutti, un connotato specialissimo.
Fatevi un giro su Facebook, troverete di sicuro bacheche invase da vignette e foto che, in modo assolutamente diretto, divertono con temi relativi alla masturbazione, all’oggettistica da sexy shop e alle varie posizioni dell’amore. Il linguaggio, sempre molto esplicito e crudo, sdogana tali temi mettendoli in mostra nelle nuove piazze – le bacheche dei social network appunto – e convincendo i più che non deve esistere riservatezza al riguardo, invitando anzi ad essere sguaiati ed eccessivi. Pure l’accesso alla pornografia, oggi così facile in rete tale da diventare pratica quotidiana anche per molti giovanissimi, propone, suggerisce, promuove ed invita il pensiero alla fissazione. Poi il circolo diventa vizioso a tutti gli effetti: tanto più c’è fissazione tanto più c’è ricorso allo stimolo che la mantiene viva, uno stimolo che di per sé non basta mai.
Siamo pronti a scandalizzarci per i più giovani, ma noi adulti siamo davvero messi meglio? Non viviamo forse anche noi della stessa sopravvalutazione, di un pansessualismo culturale che colonizza le menti? Sia che ci si lasci andare alla compulsione più sfrenata sia che ci si sforzi in ogni modo di contrastarla, per molti il pensiero ugualmente occupato da una teoria parassita resta indisponibile ad altro. E l’esperienza di vita inevitabilmente si riduce.
È accaduto che siamo caduti in una trappola, abbiamo creduto alla favola del Sesso come un astratto e potente padrone, il quale peraltro resta così solo finché lo si ritiene tale; abbiamo abbandonato il dato di realtà che invece esistono i sessi, ossia quella diversità biologica che introduce una dissimmetria nel rapporto rendendolo interessante e fruttuoso, senza alcun obbligo o comando all’uso degli organi.
Siamo stati noi a crederci per primi e per contagio abbiamo trasmesso ai figli questa idea che esista un potere astratto chiamato sesso capace di guidarci e portarci a spasso come un cagnolino.
Paradossalmente la soluzione riparte proprio dal corpo, come corpo del rapporto. Non facciamoci ingannare: nelle attività fisiche segnalate dall’indagine Aied non c’è affatto corpo, c’è solo organismo, fisiologia, funzionamento. Bisogna invece ripartire dal corpo come luogo del rapporto con l’altro, un corpo animato in cui ogni senso è al servizio della soddisfazione che è sempre reciproca, perché condivisa. Un corpo che mangia, beve, corre, pensa, scrive, si diverte, studia, si stanca, sempre insieme a un altro, che sia realmente presente o in attesa del quale. E nel caso, a suo tempo, potrà sì anche fare l’amore con un altro, ma non nel despotico isolamento di un atto che pretende di farsi tutto.
Una strada semplice che potremmo prendere come genitori, chiamiamola una scorciatoia, sembrerebbe passare per l’inibizione dei nostri figli: produrre ragazzi e ragazze inibiti e spaventati dall’essere costituiti come corpo sessuato, che si tengano lontani per paura. Per un po’ funziona e dormiamo sogni tranquilli (ma davvero?), poi alla lunga si ritorce contro tutti: quando arriva l’ora di godere anche di quell’aspetto potrebbero infatti insorgere difficoltà, a volte persino insormontabili.
Non ci sono scorciatoie, bisogna passare per la via del giudizio e realizzare, per primi noi adulti, forme di rapporto in cui la soddisfazione trovi la sua dimora e viva di ogni senso e di ogni occasione offerta dal reale. C’è tanto da fare, ma è dentro la vita di ogni giorno: confrontarsi con gli amici, leggere interessati il giornale, perdersi in un libro che non riusciamo a lasciare lì, preparare bene la cena, raccontarsi le vicende della giornata, fare una gita insieme, lavorare con gusto, curare la propria persona, testimoniare ciò che dà consistenza alla propria esistenza, vedere un film alla tele o sentire una bella canzone. Niente di speciale quindi, solo la vita da vivere, tutta intera per allargare gli orizzonti, per non cadere nella riduzione di sé e dell’altro.
Rimettere le cose al loro posto, innanzitutto per noi, è il modo migliore per aiutare i ragazzi a stare bene e vivere con pienezza la loro giovinezza. Perché loro ci guardano, a volte diretti in faccia, a volte con la coda dell’occhio, senza farsi notare. E soprattutto ascoltano le nostre parole attraverso cui suggeriamo pensieri, indichiamo percorsi, proponiamo delle mete.