Aumentano i casi di batteri contro i quali gli antibiotici non possono fare nulla. Ogni anno in Europa muoiono per questo motivo 25mila persone
In Inghilterra, nel 2008, furono cinque i casi di persone colpite da un batterio contro il quale gli antibiotici non poterono farci nulla. Nel 2011, anno che non è ancora giunto al termine, i casi sono diventati 386. C’è un aumento esponenziale di casi di infezioni batteriche contro cui gli antibiotici a disposizione non riescono più ad agire. Secondo gli organismi di medicina a livello internazionale, siamo di fronte a un caso di preoccupazione medica internazionale, con il rischio che si torni alla situazione in cui si era prima dell’avvento degli antibiotici negli anni Venti. Il rischio cioè di epidemie mortali con conseguenze catastrofiche. Tra i fattori che hanno reso possibile questa situazione, secondo gli esperti, l’uso anche eccessivo di antibiotici, e soprattutto l’uso intensivo del medicinale negli animali che hanno dato vita a batteri resistenti entrati poi nella catena alimentare e che in questo modo sono entrati nell’organismo. Buon ultimo esempio di questo il caso del batterio E.coli che solo pochi mesi fa causò la paura di una epidemia in tutta Europa, causando molte morti in Germania. Più di cinquanta nazioni europee hanno firmato un trattato per seguire e cercare di risolvere il problema: si tratta di tenere il fenomeno sotto la massima sorveglianza.
Tra i casi di batteri resistenti agli antibiotici, circa un anno fa si generò l’allarme per un batterio proveniente dall’India, il NDM-1 di cui furono registrati due casi anche in Italia. Fortunatamente non si è poi registrato più alcun caso, ma questo batterio era inattaccabile da qualunque tipo di antibiotico. Il microrganismo, come normalmente in caso di batteri, era in grado di provocare polmoniti, setticemie e infezioni varie. Un gene in grado di resistere anche ai carbapenemi, gli antibiotici usati come estrema ratio in casi gravissimi di infezioni. E naturalmente tutti ricordano il caso dell’Escherichia coli, abbreviato in E.coli che spaventò e colpì la Germania in tempi recentissimi
Secondo il professor Adriano Lazzarin, ordinario di Malattie Infettive presso l’Università Vita-Salute San Raffaele contattato da IlSussidiario.net, “siamo davanti a un problema molto serio, noto peraltro in ambiente ospedaliero da moltissimo tempo”. Un problema, però, che viene citato dai media negli ultimi due o tre anni per motivi che poco hanno a che fare con l’oggetto scientifico stesso, ma per ragioni “di ordine economico, culturale e anche politico”. Secondo Lazzarin, “si tratta di alcuni germi che sottoposti a trattamento antibiotico selezionano dei ceppi resistenti all’antibiotico. Questi germi sopravvivono al trattamento stesso, hanno quindi la possibilità di trasmettersi nell’organismo dell’uomo che li ospita e di propagarsi in altri organismi umani. Si tratta di un qualcosa abbastanza frequente e preoccupante all’interno delle strutture ospedaliere mentre è meno frequente l’esportazione del batterio resistente alla popolazione generale”. Anche qui però, ha precisato il professor Lazzarin, si è osservato negli ultimi anni una resistenza alle terapie antibiotiche in casi di infezioni alle vie urinarie, a gastro interite, a bronchiti: “Si stanno da tempo generando dei ceppi batterici resistenti. Si tratta di casi meno preoccupanti di quelli che si registrano in ospedale ma comunque si stanno formando due rivoli delle multi resistenze che vanno nella stessa direzione, quella di creare una massa di alcune specie resistenti alle cure antibiotiche”. E’ un vero allarme quello che davanti a cui ci troviamo di fronte? “Diciamo che si sta suonando un campanello d’allarme per circostanze che non sempre lo giustificano. In ospedale è un problema noto da sempre, nella popolazione generale no. E’ sì un problema serio, però il campanello d’allarme viene fatto suonare in conseguenza di altre problematiche che non sono esattamente quelle mediche. Nel mio reparto combatto tutti i gironi da diversi anni con un ceppo batterico resistente a ogni cura antibiotica, ad esempio”.
Sono gli antibiotici che non vanno più bene come tipo di cura, o si sono sviluppati geni batterici così potenti da non poter essere curati? “Gli antibiotici hanno una potenza più che sufficiente per debellare una infezione” spiega Lazzarin, “là dove riescono ad arrivare perché non sempre possono arrivare in certe parti dell’organismo umano. Dove arrivano però uccidono i germi. Non uccidono quei germi che sono appunto resistenti. Si tratta di germi selezionati dall’antibiotico, non congruente al bisogno che c’era di usare quel tipo di antibiotico o perché casualmente uno dei ceppi esposto all’antibiotico si è selezionato e ha dato origine a un batterio che ha trovato le situazioni favorevoli per svilupparsi”. Che fare per trovare una via d’uscita al problema? “Ci sono antibiotici di nuova generazione che funzionano con ceppi resistenti ma non sempre è così facile: ci sono ceppi come coli (il recente caso della E.coli che ha colpito la Germania) che non sono più sensibili agli antibiotici esistenti. Il problema è che l’industria farmaceutica non investe in questo settore. Essendo casi molto ristretti come numero, e costando eventuali investimenti cifre molto grosse, l’industria preferisce non investire in questa ricerca”.