Ci sono libri che val veramente la pena di leggere perché ci fanno uscire dai luoghi comuni e con brevi, illuminanti colpi di pennello disegnano un sistema di segni che, via via che ci addentriamo in esso, ci appare indispensabile per capire il mondo che verrà. Generalmente si tratta di testi brevi e sintetici che esprimono dei concetti in modo chiaro ed evidente. Uno di questi rari libri è La lezione di Obama. Come vincere le elezioni nell’era della politica 2.0. È appena stato pubblicato da Baldini & Castoldi e si fregia dell’introduzione di Mario Calabresi e della postfazione di Roberto D’Alimonte.
Gli autori, Stefano Lucchini e Raffaello Matarazzo, sono due dirigenti dell’Eni e già questo rende il libro non comune e portatore di speranza. Ossia ci fa sperare che tra i top manager continuino ad esistere persone di cultura e di buone letture. Nel nostro caso si tratta anche di esperti di comunicazione e di relazioni internazionali. L’interesse si accresce. Il segreto del libro è che fa capire tre cose molto importanti nel presente della formazione delle classi politiche americane e nel futuro delle classi politiche in tutto il mondo e quindi anche del nostro Bel Paese. Il libro racconta in maniera stringata e avvincente l’ultima campagna elettorale di Obama. Ma l’ordito narrativo è un pretesto per affrontare, ecco la prima questione, il problema del rapporto tra denaro e politica dal punto di vista del finanziamento delle campagne elettorali.
E qui facciamo interessanti scoperte. Negli Usa questo problema è stato affrontato in modo assai diverso, nella storia di quel grande paese, con alternanze tra limitazione ai tetti dei finanziamenti e, come accade tutt’ora, nessun limite ai medesimi. La conseguenza che ne traiamo dalle informazioni che ci forniscono gli autori è sostanzialmente questa: il denaro è sempre stato importante e sono sempre stati molto importanti nei cicli politici nordamericani i modi in cui tale denaro era ed è raccolto. Ciò che conta è però notare che l’ammontare dei finanziamenti, che possono provenire sia dall’elettore minuto come censo sia dalle grandi coorporations e dai grandi tycoons, non determina di per sé la vittoria sull’avversario. Si può raccogliere molti soldi senza vincere e si può raccoglierne meno e invece vincere.
La seconda questione fondamentale sono le informazioni sul cambiamento demografico, sociale ed etnico, che ha investito gli Stati Uniti nel corso dell’ultimo ventennio con una rapidità sempre più intensa e sconvolgente. Questo cambiamento ha trasformato radicalmente i modelli di riferimento sia dei settori della stratificazione sociale sia dei settori dell’identificazione simbolica in base all’etnia di appartenenza. Un esempio? Oramai è assodato che la tendenza inaugurata nei tempi di Reagan è diventata irreversibile, ossia che i lavoratori, e in primis gli operai, orientano il loro voto, in tutti gli stati, più verso il partito repubblicano che verso quello democratico.
E l’altro grande fattore di cambiamento è stata la crescente partecipazione politica delle minoranze. Coloro che conoscono la storia nordamericana sanno che questo mega ciclo politico inizia con il più grande presidente nordamericano del dopo guerra, ossia Lindon Johnson, con la sua great society e l’emancipazione dei neri. Il partito democratico degli stati del sud ne fu distrutto nel breve periodo, ma i frutti di quel geniale atto di coraggio i democratici li raccolgono ora, come dimostra l’ultima vittoria di Obama. Spero che gli autori condividano con me questo giudizio. Mi è venuto alla mente grazie alla loro intelligente raccolta di dati, che dimostra appunto come questo elemento sia stato decisivo soprattutto per quel che concerne l’ultima ondata delle minoranze ispaniche, ossia sudamericane.
Ma la vera innovazione interpretativa di questo libro è nella terza questione che qui voglio sottolineare. Si ricorda spesso che Obama ha vinto grazie alla riacquistata fiducia in lui di una parte delle grandi corporations, grazie appunto al voto delle minoranze, grazie alla capillarità con cui ha raccolto i fondi dell’elettorato minuto, grazie all’uso del web, ossia del famoso complesso di tecnologie e di capabilities che riassumiamo con la sigla 2.0. Ma questo è solo l’inizio dell’avventura. La macchina elettorale obamiana ha certo usato internet, gli smart phones, i cellulari, e tutti i terminali che hanno sostituito il ruolo che un tempo aveva la televisione nella comunicazione di massa. Ma ciò che il libro bene chiarisce è che questo uso è stato assai diverso da quello del passato. Infatti la relazione con il fruitore della rete è stata realizzata utilizzando quelle tecniche che un tempo erano tipiche della cosiddetta prosumption su media scala delle ricerche di mercato personalizzate.
Si tratta di entrare in contatto grazie alla rete con un fruitore della medesima di cui si conosce il profilo, la silhouette, e con il quale quindi si può instaurare, attraverso la rete, un rapporto sempre più personalizzato non soffocato dalla dimensione di massa dei contatti su larga scala. Ma la straordinaria novità della campagna elettorale di Obama è che quest’immensa massa di profili personalizzati è stata la base di altrettante reti di incontri face to face o porta a porta compiuti dai volontari degli innumerevoli comitati elettorali che hanno sostenuto il candidato democratico.
Il libro dimostra che Obama ha vinto sul suo avversario Romney grazie a questa riattualizzazione della tradizione − il face to face e il porta a porta − da parte dell’innovazione, che consente all’attivista politico di instaurare con il potenziale elettore un rapporto non casuale ma mirato. In questo modo le donne e gli uomini di Obama sono riusciti a spostare quelle masse di elettori indecisi che sempre più determinano la vittoria nelle elezioni politiche in tutto il mondo.
Un libro da leggere, dunque, che contiene questo profondo nocciolo di novità interpretativa che non deve andare disperso e che può illuminarci nei cambiamenti che avvengono anche nel nostro paese nella circolazione delle classi politiche.