Caro direttore,
il Governo stanzia più soldi per la scuola paritaria e il sottosegretario Gabriele Toccafondi precisa che “Nel testo della Legge di Bilancio c’è un chiaro, ennesimo, segnale verso la reale parità scolastica”. Poi in un’intervista al sussidiario fa notare che negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti e il fondo per le paritarie si è stabilizzato su 512 milioni annui, dimenticando che sino al 2012 il fondo complessivo era addirittura superiore alla cifra di quest’anno. Un recupero che, dopo la crisi degli anni scorsi, è certamente un fatto positivo, ma se confrontato con il livello degli stanziamenti delle scuole paritarie, dà conclusioni meno ottimistiche.
La scuola statale italiana nel 2015 ha avuto investimenti pari al 4,6% del Pil (1.642 miliardi di euro nel 2015 secondo i dati Istat), che in valori assoluti equivalgono a 74,2 miliardi (scuola e università), di cui circa 49 per l’istruzione. In questo modo i 512 milioni citati da Toccafondi si rimpiccioliscono in modo evidente e corrispondono all’incirca all’ 1% della spesa complessiva per la scuola. E’ noto, ma è bene ribadirlo, che gli studenti delle paritarie sono poco più di 960mila rispetto ai 7.861.925 (dati Miur 2016) della scuola statale. Se l’investimento pro capite medio per studente di tutti gli ordini di scuola statale è di circa 6.232 euro, quello per le paritarie, compresi i fondi per il sostegno, si aggira sui 570 euro. Un rapporto di 11 a 1 che di fatto smorza ogni trionfalismo e dice evidentemente come non ci siano cambiamenti significativi che indichino una nuova rotta nelle politiche relative alla parità.
Inoltre è bene ribadire che gli studenti nelle paritarie erano nel 2009-2010 circa 1.074.000 (il 12% del totale, Fonte Foe), con una perdita, ad oggi, di circa 110.000 alunni. In questi anni è infatti diventata palese una crisi delle scuole paritarie che, oltre alla diminuzione delle iscrizioni, ha visto una notevole incremento della chiusura delle istituzioni scolastiche non statali. Secondo Antonio Trani, presidente della Fism, “le scuole dell’infanzia erano 10.050 nel 2013-2014, oggi siamo a quota 9.650. Con 400 chiusure in due anni e una tendenza all’aumento”.
Anche se gli sforzi del governo sembrano meritori, la situazione appare davvero grave e i circa 100 milioni che permettono di far salire a 640 il tetto di detraibilità delle spese, con un risparmio netto di 121 euro all’anno per una famiglia, contro rette scolastiche che vanno dai 2.000 ai 4.000 euro in totale, sembrano davvero poca cosa. Si tratta cioè di interventi non sostanziali, che toccano diversi lati della questione, ma che non sembrano veramente risolutivi. Infatti, anche se sulla carta si garantisce la libertà di scelta delle famiglie, non sarà il risparmio di 150 euro (quando il tetto per la detrazione salirà a 800 euro) a tamponare l’emorragia di questi ultimi anni.
Positivo anche il contributo per i disabili, di cui però bisogna effettivamente condurre una reale valutazione sia sul numero dei beneficiari, sia sulla modalità di erogazione. E comunque un docente di sostegno ha costi annuali molto sostenuti, ben più alti dei 2.000 garantiti. Tutti interventi positivi, che però nel complesso non riusciranno a impedire che le istituzioni scolastiche, soprattutto quelle piccole e periferiche, gettino la spugna.
Il punto più critico del sistema paritario riguarda il settore dell’infanzia, con i suoi 586mila iscritti nel 2015/2016, pari al 62 per cento del totale. A questo proposito il sottosegretario Toccafondi dovrebbe fare un comunicato anche sulla riforma della fascia 0-6 anni che riguarda direttamente i nidi e la scuola dell’ infanzia, per spiegare meglio quale sia la logica di questa legge delega che ha assunto come punto di riferimento il modello di Reggio Emilia. Il provvedimento sembra prendere vita nell’ombra e poche sono poche indiscrezioni al riguardo. Il cosiddetto Reggio children prevede una sorta di struttura integrata tra scuola statale e non statale, in cui però sembrano giocare un ruolo decisivo le realtà paritarie degli enti locali e quella statale. Come per la “Buona Scuola” andrebbero a prevalere i criteri di gestione (personale, assunzioni, finanziamenti, accessi, criteri di valutazione del servizio) in auge nelle realtà statali e comunali, a discapito delle scuole paritarie private.
In altre parole in cambio di un maggiore sostegno finanziario (aspetto tra l’altro tutto da verificare) si rischia di appiattire, in nome di un’uniformità pedagogica, di una razionalizzazione imposta per legge, una pluralità di esperienze educative, di forme di gestione, che rendono molto ricco, plurale e sussidiario il mondo delle scuole materne. Prima quindi di cantar vittoria, il sottosegretario Toccafondi dovrebbe mettere a tema non solo il piatto di lenticchie che è riuscito ad ottenere, ma la sopravvivenza delle stesse scuole non statali cattoliche. Le chiusura di tante scuole paritarie e un’altra legge di riforma in arrivo, non sembrano infatti elementi da sottovalutare.